Beata Anna Maria Taigi (9 Giugno)



Anna Maria Taigi (9 Giugno)
«A Roma, beata Anna Maria Taigi, madre di famiglia, che, pur maltrattata da un marito violento, continuò a prendersi cura di lui e a provvedere all’educazione dei suoi sette figli, senza mai trascurare la sollecitudine spirituale e materiale per i poveri e gli ammalati». Con queste parole il  Martirologio Romano introduce una delle tante figure di santità che la Chiesa celebra oggi. Nata a Siena il 29 maggio 1769 dal farmacista Luigi Giannetti e da Maria Masi, fu battezzata il giorno seguente. Quando la piccola aveva appena sei anni, alcuni problemi economici costrinsero la famiglia a trasferirsi a Roma.

Come mai, se di cognome faceva Giannetti, non viene ricordata con quest’ultimo?
La risposta risiede nella sintesi appena ascoltata nel Martirologio. Ma procediamo per gradi. Sulle rive del Tevere la giovane crebbe inizialmente presso le Maestre Pie filippine, per poi proseguire la sua formazione in un secondo istituto, probabilmente dopo aver contratto il vaiolo. Mentre stava lavorando come cameriera a palazzo Maccarani, conobbe il futuro marito Domenico Taigi, servitore dei principi Chigi: quell’incontro si tradusse nelle nozze, celebrate nel 1789, il cui amore generò ben sette figli, tre dei quali morirono però in tenera età. Ma Domenico si rivelò ben presto un uomo sì pio, ma dal temperamento molto difficile. Anna Maria seppe però andare oltre il caratteraccio del marito, “sopportando” per decenni e allenando in tal modo, su tutte, le virtù della pazienza e della carità.

Tornando alla domanda legata al cognome?
Ci sia permessa una piccola digressione: la consuetudine di impiegare il cognome, dal latino cognomen, “soprannome”, “nome aggiunto”, in Italia iniziò dopo la caduta dell’impero romano, che vide abbandonare il sistema onomastico latino e la progressiva adozione del nuovo sistema, basato appunto sul binomio nome-cognome. Se tale consuetudine conobbe tappe diverse, è solo dal Concilio di Trento (1545-1563) in poi che l’uso dei cognomi si affermò definitivamente. Perché allora le donne per tanto tempo hanno acquisito il cognome del marito, una volta sposatesi? È facile immaginarlo: perché in passato la donna era purtroppo considerata una proprietà, il cui passaggio dalla “casa del padre” a quella del marito si concretizzava con l’assunzione del cognome del secondo. La digressione ci permette quindi di sottolineare che chiamare Anna Maria, Taigi anziché Giannetti, è forse un modo per rafforzare la ragione col quale la Chiesa intende presentare questo modello, ragione già sintetizzata dal Martirologio: «beata Anna Maria Taigi, madre di famiglia, che, pur maltrattata da un marito violento, continuò a prendersi cura di lui e a provvedere all’educazione dei suoi sette figli».    

Le frange più agguerrite del femminismo attuale avrebbero forse qualcosa da ridire..
Proprio così. Se consultiamo il motore di ricerca Google alla voce “donne con marito violento” compaiono immediatamente, oltre agli innumerevoli e tristi fatti di cronaca in merito, suggerimenti sul come fare a denunciarlo, a separarsi da lui il più in fretta possibile, e via dicendo.. Perché la Chiesa continua allora a proporre Anna Maria come modello, lei che «madre di famiglia.. pur maltrattata.. continuò a prendersi cura di lui»? Lasciamo la risposta alla biblista Rosanna Virgili che, in un articolo sul quotidiano cattolico Avvenire del 25 novembre 2018 scriveva: «“La violenza degli uomini sulle donne è un fenomeno strutturale”.. perché molte culture e civiltà si sono formate sulla sottomissione delle donne agli uomini, sulla dipendenza delle femmine dai maschi, sulla mancanza di una pari dignità delle une rispetto agli altri. Le società androcentriche hanno sempre avuto bisogno del supporto di un femminile disposto al loro riconoscimento e alla loro affermazione». E prosegue: «La ventennale attesa di Penelope, ma anche la gara delle matriarche bibliche per dare discendenza ai loro mariti, sono solo esempi arcinoti della condizione delle donne in un tipo di società in cui gli uomini erano i prìncipi e “il principio”, i capi e i patriarchi.
Anche i codici di leggi dei diversi popoli che sono all’origine della storia occidentale contemplavano, in certi casi, la violenza vera e propria sulla donna; basti pensare alla lapidazione dell’adultera – fortemente criticata da Gesù, nel Vangelo di Giovanni – o a quella della sposa che non fosse trovata vergine da suo marito, la prima notte, per citare soltanto la Torah di Mosè». 

Le cose tuttavia oggi, e meno male, sono ben diverse..
«La cultura occidentale attuale – è ancora la Virgili a parlare – non è più androcentrica, né, tantomeno, patriarcale. I padri non sono più proprietari dei figli, anzi, spesso, sono latitanti dalle loro famiglie; i mariti non sono più proprietari delle mogli e i diritti coniugali degli uomini sono pressoché identici a quelli delle donne, almeno sulla carta. Cosa sta accadendo, allora? Da cosa nasce tanta violenza, tanta inumanità, tanto odio verso le donne e, nella fattispecie, verso le madri dei propri figli e quelle che sono state o sono ancora le proprie mogli? Cosa c’è di nuovo nella frattura del patto tra mariti e mogli, tra l’uomo e la donna?». La questione è molto complessa, certo, ma a guidarci non possono essere che le parole ribadite da Gesù: «L’uomo si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola» (Mt 19,5), seguite da quelle ancora più nette di Paolo che, “partito male”, diciamo così, nella Lettera agli Efesini – «il marito.. è capo della moglie» (5,23) – , precisa subito dopo: «E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei» (5,25). Insomma, un marito che non fa morire la moglie, ma muore per lei! 

Che ne è stato allora di questo insegnamento nei successivi duemila anni?
C’è il peccato originale di mezzo e, chiosando nuovamente con la biblista, «Il volto ceduto di Abele nelle braccia di tutte le donne uccise. La terra ne reclama la sorgente.. Occorre riconciliarsi, costruire patti di stima vicendevole, d’amore, di libertà, di reciprocità. Ce lo impongono i volti atterriti dei figli e le loro grida», comprese quelle dei figli dei coniugi Taigi-Giannetti i quali, pur scossi dall’atteggiamento paterno, avevano nella controparte materna, meravigliosamente cristiana, un modello da seguire.  

Quanto alla vita di Anna Maria, cos’altro sappiamo di lei?
Dopo essersi aggregata al terz’ordine secolare della Santissima Trinità, visse sotto la direzione spirituale di monsignor Raffaele Natali, presbitero marchigiano che fu ospite della beata per circa vent’anni, diventando in tal modo testimone oculare dei prodigi che in lei avvenivano: divenne infatti celebre per le sue doti mistiche e la capacità di operare guarigioni. 

Quali esattamente?
Tra i “fenomeni” ultraterreni a lei attribuiti, su tutti spicca quello del globo luminoso: sorta di sole in miniatura che avrebbe brillato davanti ai suoi occhi per quarantasette anni, dal 1790 alla morte. In esso, sospeso e ad un metro dal suo viso, Anna Maria avrebbe visto avvenimenti passati e futuri, oltre allo stato delle anime di vivi e defunti. Le causava inoltre dolore vedere soprattutto le anime finire all’inferno. La scintilla scatenante tutto ciò fu con ogni probabilità una lettura ascoltata dalla madre, che tematizzava il Giudizio Universale, scuotendola a tal punto da farle scegliere una vita di digiuno e penitenza. A lei è attribuita inoltre, ma senza troppa certezza, l’origine della cosiddetta profezia dei “Tre giorni di buio”, ripresa in un secondo momento dalla beata Elena Aiello e da santa Faustina Kowalska. 

Di cosa parla questa profezia?
«Dio manderà due castighi: uno sarà sotto forma di guerre, rivoluzioni e altri mali; avrà origine sulla terra. L’altro sarà mandato dal Cielo. Verrà sopra la terra l’oscurità immensa che durerà tre giorni e tre notti. Nulla sarà visibile e l’aria sarà nociva e pestilenziale e recherà danno, sebbene non esclusivamente ai nemici della religione. Durante questi tre giorni la luce artificiale sarà impossibile; arderanno soltanto le candele benedette. Durante tali giorni di sgomento, i fedeli dovranno rimanere nelle loro case a recitare il Rosario e a chiedere Misericordia a Dio.. Tutti i nemici della Chiesa (visibili e sconosciuti) periranno sulla Terra durante questa oscurità universale, eccettuati soltanto quei pochi che si convertiranno.. L’aria sarà infestata da demoni che appariranno sotto ogni specie di orribili forme.. Dopo i tre giorni di buio, san Pietro e san Paolo.. designeranno un nuovo papa.. Allora il Cristianesimo si diffonderà in tutto il mondo..».

Parole davvero d’altri tempi..
Già, ma il Signore parla “più lingue”, comunicandosi alle sue creature come meglio crede e nel modo che ritiene opportuno, a partire dal contesto culturale e religioso dell’epoca in questione. Ciò non toglie che la difficoltà nell’accogliere queste parole, da parte degli uomini e delle donne di oggi, rimanga. Nell’opera intitolata L’anima di ogni apostolato l’abate trappista Jean-Baptiste Chautard (1858-1935) tratta anche della nostra Anna Maria, che ricevette secondo lui «singolari doni soprannaturali di sapienza, discernimento spirituale e di profezia, soprattutto sui gravi problemi religiosi e politici del tempo. A lei ricorsero vescovi, cardinali, papi e uomini di Stato per ricevere consigli».

Chautard è l’unico ad aver scritto di lei?
Nel 2005 Giovanna Cossu Merendino, anch’essa vicina al laicato trinitario, ha raccolto diversi scritti nel volume intitolato Le misericordie di Dio verso le sue creature: beata Anna Maria Giannetti Taigi, nella cui introduzione rileva come «nel nostro tempo di crisi di valori, di divorzi, di aborti, di sperimentazioni su embrioni umani, di unioni irregolari, la figura di questa donna appare quanto mai attuale; la fedeltà, la forza con cui visse la sua non facile condizione familiare, rappresenta un esempio prezioso, un richiamo ai valori della famiglia, all’amore per le piccole cose, all’amore di Dio». 

E anche in questo caso l’ala femminista potrebbe storcere il naso..
Forse sì, ma la Cossu sottolinea anche come Anna Maria sia stata «la prima donna popolana che ha raggiunto la perfezione cristiana nella vita matrimoniale; prima di lei molte donne hanno avuto gli onori degli altari, ma non erano sposate, oppure erano vedove o religiose, regine o principesse».  Morì a Roma il 9 giugno 1837. Il suo processo di canonizzazione iniziò l’8 gennaio 1863, con papa Pio IX che volle traslarne il corpo nella basilica di San Crisogono a Trastevere dove, tuttora incorrotto, è venerato anche oggi. Il 4 marzo del 1906 Pio X la dichiarò venerabile, mentre Benedetto XV la proclamò beata il 30 maggio 1920.

«Oggi, Signore, vogliamo pregarti con le parole che avrebbe usato – forse lo ha fatto – Domenico Taigi, e con lui ti diciamo, a nome di tutti i mariti della storia e per intercessione di Anna Maria: “grazie per averci posto accanto colei che davvero è in grado di corrisponderci, osso dalle nostre ossa, carne dalla nostra carne, colei che possiamo guardare alla pari, occhi negli occhi. Colei che, a immagine di Te, ci fa uscire dal nostro egoismo e che, ogni giorno, ci dice che non siamo soli, per cui non dobbiamo avere paura, né tanto meno cedere alla violenza”». 

 

Recita
Daniela Santorsola, Cristian Messina

Musica di sottofondo
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