
San Turibio de Mongrovejo (23 marzo)
«(I vescovi) propongano la dottrina cristiana in modo adatto alle necessità dei tempi, cioè che risponda alle difficoltà e ai problemi da cui gli uomini sono soprattutto assillati ed angustiati: questa dottrina difendano e insegnino ai fedeli stessi a difenderla e propagarla. Nell’insegnarla dimostrino la materna sollecitudine della Chiesa verso tutti gli uomini, sia fedeli che infedeli, ed abbiano cura particolare dei poveri e dei più umili, alla cui evangelizzazione il Signore li ha destinati.. Per poter far questo con efficacia.. devono ordinare la loro vita in modo che sia confacente alla necessità dei tempi».
Di chi sono queste parole, e cos’hanno a che fare con la celebrazione di oggi?
Si tratta del Decreto Christus Dominus, un documento frutto del Concilio Vaticano II, in questo caso relativo al compito dei vescovi. È proposto oggi dalla Liturgia delle ore nell’Ufficio delle letture per sottolineare la grandiosa opera portata avanti da san Turibio de Mongrovejo.
Cosa sappiamo di lui?
Nato da una nobile famiglia della città spagnola di Maiorca intorno al 1538, Turibio studiò prima a Valladolid, poi a Salamanca e quindi a Santiago de Compostela, in cui completò gli studi in diritto. Nel 1573 fu nominato inquisitore a Granada.
Un ruolo che però non gode, e giustamente, di una bella fama..
Il fenomeno dell’inquisizione fu senza dubbio una delle pagine più deprecabili della storia della Chiesa. Derivato dal latino inquirere, “interrogare”, l’inquisizione ha radici lontane: da quando infatti il cristianesimo divenne religione di Stato (col celebre editto di Teodosio del 381), alcuni padri della Chiesa – su tutti Agostino – giustificarono l’uso della coercizione per contrastare l’eresia. Tra gli inquisitori si distinsero nel tempo soprattutto francescani e domenicani. Questi ultimi vennero definiti addirittura Domini canes, “cani del Signore”, per via dello zelo con cui adempievano il loro compito. L’inquisizione era dunque nel Medioevo quello speciale tribunale ecclesiastico volto a combattere i fenomeni eretici. L’apice della sua triste fama la raggiunse però proprio in Castiglia, nel 1481, il tempo del primo “grande inquisitore” spagnolo, il domenicano Tommaso di Torquemada.
Tornando a Turibio, cosa fece in seguito?
Nell’agosto del 1580, quando aveva 42 anni, fu consacrato vescovo e partì immediatamente per l’America, che raggiunse nella primavera del 1581. Da questo momento in poi, come vescovo di Lima, si lasciò usare dal Signore in tutto e per tutto, divenendo il vero organizzatore della Chiesa americana: fondò il primo seminario, moltiplicò il numero della parrocchie, debellò gli abusi e gli scandali del clero e, soprattutto, amò con tutto sé stesso il popolo indios, sapendo proporre loro la salvezza di Cristo senza “violentarne” la cultura. Forse non a caso morì a Sanna, in Perù, proprio in una cappellina indiana, dopo aver ricevuto il viatico, l’eucaristia data ai morenti prima dell’ultimo viaggio. Era il 23 marzo 1606. Fu Benedetto XIII a canonizzarlo nel 1726, mentre Giovanni Paolo II lo proclamò nel 1983 Patrono dell’Episcopato Latino-Americano.
«O Padre, che sempre ci invii guide capaci di leggere i bisogni e le fatiche dell’uomo, là dove e quando vive, non smettere di donarci vescovi santi che, sull’esempio di Turibio, sappiano redarguirci con una mano e accarezzarci con l’altra».
Recita
Marco Missiroli, Valentina Rastelli
Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale di Gabriele Fabbri
Biografia dialogata