San Matteo apostolo ed evangelista (21 settembre)



San Matteo apostolo ed evangelista (21 settembre)
La Chiesa festeggia oggi il primo dei quattro Evangelisti, ma chi era davvero Matteo?
Il nome Matteo, in ebraico “dono di Dio”, non è mai utilizzato dagli evangelisti Marco e Luca, che nel parlare di lui lo chiamano Levi, forse per salvaguardarne l’onorabilità, compromessa dal suo mestiere. L’appellativo “pubblicano” forse non è colto oggi in tutta la sua portata: nell’antica Roma era un appaltatore, un dipendente del governo romano che occupava i terreni conquistati. In altre parole incassava le tasse degli ebrei per girarle agli occupanti Romani, ma, per guadagnarci, rincarava il prezzo. Di fatto era quello che oggi chiameremmo “strozzino”, e sappiamo bene quali ripercussioni abbia una simile attività: se il debitore non è in grado di saldare può arrivare in casi estremi a togliersi la vita. Di storie simili la cronaca riempie purtroppo le pagine dei quotidiani.

Quindi era considerato un traditore, uno che si era messo dalla parte del nemico..
Esattamente, era ritenuto un collaborazionista, peggio ancora, uno che toccava il denaro straniero, considerato impuro. E le proibizioni legate al binomio puro-impuro da parte degli ebrei ci sono note. In sintesi era associato ai peggiori peccatori in circolazione. Ma tra la schiera dei Dodici non era forse il peggiore..

In che senso?
Volendo dipingere brevemente la strana banda – è il caso di dirlo – “messa su” da Gesù, ci accorgiamo che è composta nell’ordine: dai fratelli Pietro e Andrea, pescatori incolti, il primo dei quali lo tradì per ben tre volte; dai due fratelli Giacomo e Giovanni, da Gesù stesso chiamati “figli del tuono” (come a dire che erano facilmente irascibili); da Filippo, che dopo tre anni trascorsi col Maestro, 24 ore su 24, gli chiede di mostrargli il Padre (cioè non aveva ancora capito nulla!); da Bartolomeo, che ironizza su Gesù chiedendosi se da Nazareth possa mai venire qualcosa di buono; da Tommaso, noto per la sua incredulità; da Giacomo d’Alfeo e Taddeo, di cui sappiamo ben poco; da Simone il Cananeo, soprannominato “zelota”, sovversivo politico che si scagliava contro gli occupanti Romani, utilizzando per le sue sommosse il sica (da cui il termine “sicario”), un pugnale ricurvo e molto corto, facilmente nascondibile tra la folla; e Giuda Iscariota, che lo tradì vendendolo ai sommi sacerdoti.. Se a questi aggiungiamo Paolo, l’Apostolo con la A maiuscola, che prima della vocazione perseguitava i cristiani, beh, il quadro di questa strana compagnia è bell’e fatto!

L’ingresso di Matteo all’interno del gruppo che si stava delineando non deve essere dunque stato indolore..
Infatti, l’inizio della fratellanza non deve essere stato semplice, poiché Levi costituiva una potenziale minaccia, sia per i diversi pescatori (che come sostiene simpaticamente qualcuno, «si sono visti entrare la Finanza in casa»), sia soprattutto per Simone lo zelota, vista la già citata avversione per i Romani. Ma proprio queste probabili tensioni iniziali stanno a dirci che Gesù non sceglie “quelli che vanno d’accordo fra di loro”, né tanto meno i più bravi, anzi, è venuto proprio per “chiamare i peccatori, non i giusti”. Ma questa frase fatichiamo forse a prenderla per vera.

Dopo la sua celebre chiamata, da parte di Gesù, Matteo dà un pranzo in cui invita anche i vecchi amici..
Già, il Maestro accetta l’invito e si trova ospite non solo di colui che era ritenuto il peggiore tra i peccatori pubblici, ma anche dei suoi amici, il resto dei pubblicani. Tali presenze sono la goccia che fa traboccare il vaso da parte di coloro che si ritenevano giusti, i quali si scandalizzano che Gesù stia “con certa gente”. Eppure, in ogni Eucarestia, tutti noi facciamo la stessa esperienza di Matteo: da poveri peccatori che siamo ci ritroviamo invitati “alla Cena del Signore”, venuto a guarire quelle che noi riteniamo insanabili ferite.

Cos’altro sappiamo di lui?
Ben poco, dopo la sua chiamata viene infatti citato solamente una volta. Il vescovo Eusebio di Cesarea, vissuto nel III secolo, ci dice che avrebbe evangelizzato l’Etiopia, dove sarebbe morto. In seguito le sue reliquie sarebbero state trasportate prima a Paestum, quindi il 6 maggio del 954 a Salerno, dove sono onorate tutt’ora. Della città campana Matteo è ovviamente patrono, oltre che, forse non senza un pizzico di ironia, dei banchieri, dei contabili, dei doganieri e della Guardia di Finanza. Ma ciò che più sappiamo di lui lo deduciamo dal Vangelo che ci ha lasciato.

Da cosa è caratterizzato questo scritto, e come si differenzia dagli altri tre?
Matteo, dalla maggior parte della critica ritenuto l’autore del Vangelo, lo realizza intorno agli anni 80, indirizzandosi in particolare ad ebrei neoconvertiti al cristianesimo, e ha come tema di fondo lo stesso degli altri Sinottici, ovvero la predicazione del Regno, ma in lui assume tratti peculiari, su tutti la suddivisione dell’intera opera in cinque grandi discorsi, definiti dagli studiosi “della montagna”, “in parabole”, “escatologico”, “missionario” ed “ecclesiale”. Questa scansione in cinque parti ricalca simbolicamente il Pentateuco, i primi cinque libri dell’Antico Testamento, di cui si riteneva l’autore fosse Mosè.. Levi ci sta dicendo in filigrana che Gesù è il nuovo Mosè!

"Grazie Matteo per aver immediatamente accettato un invito che, spesso, fatichiamo ad accettare come nostro, ritenendocene indegni. Ti chiediamo di aiutarci a saper accogliere le nostre miserie e a saper spendere per gli altri, ogni giorno, i tantissimi doni che il Padre ci fa".

Recita
Tiziana Sensoli, Luca Pizzagalli

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

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