Testimoni: Gianna Beretta Molla (28 Aprile)



Gianna Beretta Molla (28 Aprile)
Roma, 16 maggio 2004.. l’ingegner Pietro Molla sale – sul sagrato dell’omonima piazza – per dare la mano a Giovanni Paolo II. È accompagnato dalla figlia Gianna Emanuela. Loro tre, e diverse migliaia di persone, stanno ringraziando il Signore per il dono di una donna, moglie di Pietro e mamma di Gianna Emanuela, la quale, senza il suo sacrificio, non esisterebbe..

Di chi stiamo parlando?
Di Gianna Beretta, nata il 4 ottobre 1922 a Magenta da Alberto e Maria, entrambi consacrati francescani, decima di tredici figli. Una bella chiesa domestica: «(del padre diranno i fratelli di Gianna) si alzava ogni mattina alle cinque per assistere alla Messa ..la mamma ci accompagnava in chiesa.. (ma) nessuno era costretto ad andare a Messa tutti i giorni.. La sera si recitava il rosario in famiglia. I fratelli maggiori in piedi con papà davanti alla statua della santa Vergine sistemata sul pianoforte. I più piccoli seduti tutti vicino alla mamma, e spesso ci addormentavamo!». Mamma che Gianna in una lettera definisce «cara santa». Mamma che morirà il 29 aprile 1942, ad appena 55 anni, seguita a settembre dello stesso anno dal papà, che invece ne aveva 60. Così, assieme ai fratelli e alle sorelle si trasferisce nuovamente a Magenta.

Perché nuovamente?
Perché nel 1925 la famiglia si era trasferita a Bergamo, e dodici anni più tardi a Quinto al Mare, in provincia di Genova, sede delle suore Dorotee presso le quali tra il 16 e il 18 marzo del 1938, a soli 15 anni e mezzo, farà quegli esercizi spirituali – da lei definiti «scuola in cui il maestro è Gesù.. lotta contro sé stessi per cacciare l’altra persona che è in noi.. (e) clinica nella quale.. (si va) se siamo deboli» – che le faranno prendere decisioni cruciali per la sua vita: «Ogni mia opera, ogni mio dispiacere, li offro tutti a Gesù»; «morire piuttosto che commettere peccato mortale»; «pregare il Signore che mi aiuti a non andare all’inferno» e «studiare, sebbene non abbia voglia, per amore di Gesù». 

Ci furono altre tappe decisive nel suo percorso?
Anzitutto gli step sacramentali: l’11 ottobre 1922 è battezzata nella basilica di san Martino coi nomi di Giovanna Francesca, mentre il 4 aprile di sei anni dopo fa la prima comunione, per essere cresimata il 9 giugno 1930. Dopo aver preso la maturità classica – poco dopo la morte della madre e appena prima quella del padre – si laurea in Medicina e Chirurgia con 104  su 110 all’Università di Pavia e, dopo aver aperto un ambulatorio medico a Mesero (5 km da Magenta), il 7 luglio 1952 si specializza a Milano in Pediatria, questa volta col massimo dei voti. Ai suoi pazienti darà spesso anche i soldi per mangiare: «Se curo un ammalato che non ha di che mangiare, a che cosa servono le medicine?». Ma questa dedizione accompagnerà ogni suo gesto, dalle diverse passioni che coltivava (soprattutto musica, pittura, tennis, sci e alpinismo) all’apostolato che svolgeva tra le giovani di Azione Cattolica. Ma accudiva anche gli anziani nelle Conferenze di san Vincenzo (in cui svolgeva il ruolo di segretaria e animatrice di un gruppo di 40 studentesse) e spendeva il suo tempo nell’oratorio della suore canossiane di Magenta: «Silenziosa – dirà di lei una compagna – , rifletteva su ognuna delle sue azioni, ascoltava gli altri e parlava poco». Persona decisa ed esigente con sé stessa: «Verissimi tutti e due i miei difetti – ammette in una lettera di risposta ad una suora – ostinata, è vero e di fatti faccio sempre ciò che voglio, mentre invece dovrei piegare il capron (la testa, in dialetto)». Il suo fu però un apostolato imponente quanto gioioso: «(dobbiamo) Sorridere a Dio.. – diceva – al Padre.. a Gesù.. allo Spirito Santo.. Sorridere al proprio confessore.. ai propri genitori.. Sorridere sempre perdonando le offese.. a tutti quelli che il Signore ci manda durante la giornata.. Il mondo cerca la gioia ma non la trova perché è lontano da Dio». 

Lei e il marito ebbero figli?
Ben quattro, ed è qui che inizia l’eroicità della sua vicenda: nel ‘56 nasce Pierluigi, un anno dopo Mariolina e poi Laura, e nel 1962 il suo “capolavoro”, Gianna Emanuela. Saranno tutti battezzati nella chiesetta di Ponte Nuovo, dedicata alla Madonna del Buon Consiglio, in cui da sposata parteciperà quotidianamente all’eucaristia e in cui, il 30 aprile 1962, saranno celebrate le sue esequie.. Nel settembre dell’anno precedente si era infatti accorta di avere un voluminoso fibroma all’utero. Ad un’amica dirà, poco prima dell’intervento per asportarlo: «Qualsiasi cosa mi facciano, io l’accetterò pur di salvare il bambino». In grembo aveva infatti Gianna Emanuela. L’intervento riuscirà bene. Durante il parto e fino all’ultimo giorno, lavorerà senza risparmiarsi, aiutando perfino la domestica nelle pulizie di casa. Pochi giorni prima di dare alla luce la quartogenita dirà a Pietro: «Se dovete decidere fra me e il bambino (non sapeva ancora se fosse maschio o femmina), nessuna esitazione: scegliete – lo esigo – il bimbo. Salvate lui». Il marito, che ben conosceva la moglie, si sentì in dovere di rispettarne la volontà.

Non facile, immaginiamo, dover condividere una scelta simile..
Soffermiamoci per un attimo sulla figura di questo grande uomo: nella solennità dell’Immacolata del 1954 avviene il primo vero incontro con Gianna, con la quale si fidanza nel ’55, dopo che lei aveva valutato seriamente sia la vocazione religiosa sia quella di missionaria laica. Il 24 settembre dello stesso anno (dopo appena cinque mesi) si sposano nella basilica di san Martino a Magenta. «Carissimo Pietro – scrive nella sua prima lettera al futuro marito – scusa se decisamente inizio questo mio scritto col chiamarti per nome e darti del tu (decisamente altri tempi).. Vorrei proprio farti felice ed essere quella che tu desideri: buona, comprensiva e pronta ai sacrifici che la vita ci chiederà (sì, decisamente altri tempi!)». In un’altra lettera, pochi giorni prima del grande passo, gli scrive invece: «Mancano solo venti giorni e poi sono.. Gianna Molla!». I due andranno in viaggio di nozze a Roma, a salutare quella piazza san Pietro dalla quale, 49 anni dopo, sarà salutata e onorata, e questo alla presenza dello stesso Pietro, primo marito ad assistere alla canonizzazione della moglie, notevolmente stupito quando il vescovo ausiliare Carlo Colombo, teologo di fiducia del cardinal Montini (futuro papa Paolo VI, ma in quel momento arcivescovo di Milano), gli chiese di avviare la causa di canonizzazione di Gianna. Siamo in pieno Vaticano II, e quello delle nozze cominciava ad essere valorizzato per quello che è: un sacramento di grazia! 

Tornando a Gianna, decisione eroica la sua, forse discutibile per molti..
La sua scelta è stata infatti spesso discussa, oltre che oggetto di dibattito: i tre figli già vivi, non avrebbero avuto il diritto ad essere cresciuti da una mamma? Il fatto è che Gianna sente che donarsi, affinché qualcun altro possa vivere, è l’ultima chiamata terrena che il Signore le rivolge: «O Gesù, ti prometto di sottomettermi a tutto ciò che permetterai mi accada, fammi solo conoscere la tua volontà..». E ancora: «Bisogna.. rendere la verità visibile nella propria persona, rendere la verità piacevole offrendo sé stessi come esempio significativo e se possibile eroico». “La verità” è, in quel momento, per lei, proteggere l’unica creatura non in grado di farlo: quella che porta in grembo. Sabato santo, 21 aprile 1962, vede la luce (con la “l” minuscola) Gianna Emanuela, mentre le condizioni della madre si aggravano.. sette giorni dopo – quelli dell’Ottava di Pasqua – Gianna chiede, ormai agonizzante, di essere portata a casa: sapeva che stava morendo. Durante l’agonia ripete continuamente «Gesù ti amo, Gesù ti amo» e, all’alba del 28 aprile, alle 8 di mattina, dopo aver udito per l’ultima volta la voce dei suoi quattro bimbi, vede la Luce (questa volta con la “L” maiuscola) a soli 39 anni.  

Per essere riconosciuti santi, però, la Chiesa non chiede avvengano due miracoli?
Proprio così. Nel 1977, nell’ospedale brasiliano di Grajaú (costruito dai fratelli di Gianna), avviene – per sua intercessione – il primo: la giovane mamma Lucia Silva Cirilo, protestante, dopo aver perso il suo quarto bimbo stava morendo a causa di un’infezione.. una suora le dice di invocare l’intercessione di Gianna, e la donna guarisce nel giro di poche ore! Il 17 febbraio 2000 si verifica il secondo, ancora in una diocesi brasiliana, quella di Franca, nello stato di san Paolo. Un’altra mamma, Betihna de Carlos César, stava rischiando la vita nell’attesa del suo quarto figlio (davvero ricorrente questo numero!).. Il vescovo le propone di chiedere l’intercessione della beata Gianna: i due coniugi decidono di non abortire, e il 31 maggio dello stesso anno nasce una bimba – sana come un pesce – di nome Gianna Maria. Perché entrambi in Brasile, è un caso? No, la sua vocazione iniziale infatti, appena laureata, era quella di farsi missionaria proprio in Brasile, raggiungendo il fratello don Alberto, medico missionario in quella Grajaú in cui ha avuto luogo il primo miracolo. Così il 24 aprile 1994 Giovanni Paolo II prima la proclama beata, per poi canonizzarla il 16 maggio di dieci anni più tardi. 

Che bella mamma! La quartogenita, nata grazie al suo “sacrificio”, ne sarà stata fiera..
Gianna Emanuela è diventata medico a sua volta, non però al capezzale dei bambini ma, all’opposto, a quello degli anziani. Diventata geriatra, professione che ha svolto fino al 2003, la abbandona per poter assistere il suo ultimo paziente, papà Pietro: «(in tal modo) ero sicura di far felice anche la mia mamma. Sono stata con lui sette anni e tre mesi, fino a quando il Signore l’ha chiamato in paradiso, a quasi 98 anni, il sabato santo.. in quei 48 anni che ha vissuto senza la mia mamma sono stati un cuor solo e un anima sola..».  

«Donaci, Signore, per intercessione di Gianna, di saper generare vita sempre e ovunque, con gioia e, qualora quella vita ci venisse chiesta, di saperla “mollare”..».

Recita
Federica Lualdi, Cristian Messina

Musica di sottofondo
Libreria suoni di Garage Band

 

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