
Testo della riflessione
Se film in lingua inglese indica la “pellicola”, ovvero una piccola pelle, una membrana sottile, la parola cinema, abbreviazione di cinematografia, deriva dal greco kìnema gràfo, “scrittura in movimento”. Si tratta insomma di una tappa, non certo l’ultima, della Sacra Scrittura, che ha assunto una forma dinamica. Ma in che modo ha approcciato la Bibbia? Proviamo a rispondere a tale domanda, lasciandoci aiutare inizialmente dal presbitero Dario Viganò che, in un articolo del 25 gennaio 2020 apparso su Vatican news, si interrogava sul rapporto tra Bibbia, cinema e mass media ma, soprattutto, su quanto la loro reciproca relazione possa incidere sulla percezione dell’esperienza religiosa stessa. «Il racconto biblico è stato più volte trasposto in forma audiovisiva, costituendo un vero e proprio genere a sé stante – afferma – ; pensiamo, ad esempio, alle passioni di inizio secolo scorso, proposte dai pionieri della settima arte come i fratelli Auguste e Louis Lumière con Vues représentant la vie et la passion de Jésus Christ (1897).. A imprimere forza visiva al racconto biblico è stato poi lo statunitense Cecil B. DeMille, capofila del kolossal religioso, con le due versioni de I dieci comandamenti (la prima del 1923, la seconda del 1956): un cinema che predilige la cifra della spettacolarizzazione del racconto piuttosto che cogliere le articolate sfumature del Testo Sacro». Quanto a Gesù, la sua figura è stata più volte rivisitata dal cinema; il cosiddetto filone cristologico contempla pellicole che assumono come fonte diretta il testo biblico, altre invece che ne romanzano la storia, un esempio su tutti è L’ultima tentazione di Cristo di Scorsese; quindi i film che lambiscono appena la vicenda del nazareno – è il caso, dice Viganò, de La dolce vita di Fellini, pellicola del 1960 il cui incipit è rappresentato da una statua di Cristo trasportata in elicottero nella periferia romana – ; infine i cosiddetti film parabolici, in cui Gesù compare solo di rimando (e qui il porporato cita Au Hasard Balthazar di Bresson e Gran Torino di Eastwood). Viganò sottolinea in ultima battuta come per molta gente la Bibbia sia un film o una fiction prima ancora che un libro.
Proviamo allora, incuriositi da quanto appena ascoltato, a ripercorrere le tappe toccate dalla Bibbia nel mondo del cinema: la pellicola capofila, del 1898 (ovviamente muta), è La Vie et la Passion de Jésus-Christ, nota ai più come La Passion, lunga appena 11’ e diretta da Georges Hatot e Louis Lumière. Il cortometraggio è formato dall’unione di dodici filmati distribuiti anche separatamente: da L’adoration des Mages a La résurrection, ovvero dalla nascita alla risurrezione. Cinque anni dopo ecco un’altra versione della pellicola: La Vie et la Passion de Jésus-Christ, diretto questa volta da Ferdinand Zecca e Lucien Nonguet.
Se i film biblici sono più o meno equamente divisi tra le due alleanze, quasi novanta per il Primo Testamento e poco più di un centinaio per il Secondo, l’Antico vede tra i personaggi più trattati come protagonisti il re Davide, dodici volte, seguito dalla coppia dei progenitori con otto, per lasciare l’ultimo posto del podio ad un triplo ex aequo: Salomone, Giuseppe “il sognatore” e Mosé, ognuno dei quali immortalato per sette volte. Nel Nuovo, invece, la medaglia d’oro è, manco a dirlo, di Gesù, con oltre 50 pellicole, seguito – e il dato questa volta ci sorprenderà! – dalla giovane e bella Salomé, con quindici, per lasciare la medaglia di bronzo agli Apostoli, mentre la vergine Maria deve accontentarsi della cosiddetta “medaglia di legno”, avendo fatto da protagonista in otto film. Riepilogando, se consideriamo l’intera Bibbia, sul podio troviamo nell’ordine: Gesù, Salomé e gli Apostoli (tutti del Nuovo Testamento), seguiti ad appena una lunghezza dal re Davide.
Se la maggior parte della produzione riguarda i film in senso stretto, nello specifico abbiamo anche oltre trenta film per la tv, una manciata di animazione, un’altra rappresentata dai cortometraggi, e una decina circa di serie tv, tra le quali val la pena menzionare la statunitense The Chosen, ideata, scritta e diretta da Dallas Jenkins, nata inizialmente da un grandioso crowdfunding che ne ha permesso i finanziamenti, per passare in seguito alle piattaforme più note. Composta da 4 stagioni di 8 episodi ciascuna, si distingue in primis per la caratterizzazione dei personaggi, attraverso i quali lo spettatore può incontrare un Gesù molto “vicino”: Simon Pietro, la moglie Eden e la suocera; Maria Maddalena che, posseduta da un demone, vive inizialmente sotto il falso nome di “Lilith”, il quale rimanda al personaggio che, citato solamente una volta in tutta la Bibbia (in Isaia 34,14) è inizialmente mutuato dalla religione mesopotamica per poi assumere diverse sfaccettature: dalla prima compagna di Adamo ad un demone notturno; quindi il futuro evangelista Matteo, dai tratti quasi autistici; il fariseo Samuele, allievo di Nicodemo e ipercritico nei confronti di Gesù; il magistrato romano Quinto; il centurione Gaio, ex guardia del corpo di Matteo; Giacomo il Minore, paralizzato ad un arto inferiore (proprio come l’attore che lo interpreta); Tommaso, nella serie un ex ristoratore alle prese col corteggiamento della sua ex socia in affari Ramah, una delle discepole di Gesù; se di Natanaele si dice sia un ex architetto, assieme a Nicodemo ha un ruolo interessante la moglie Zohara.
Se ci soffermiamo invece sulla vena realizzativa delle diverse decadi, da fine ’800 ad oggi, notiamo che quella più prolifica è degli anni che inaugurano il terzo millennio, con ben 31 pellicole (con The Passion of the Christ di Mel Gibson, del 2004, a farla da mattatore), seguita dagli anni ’70 con 25 (tra le quali la miniserie televisiva Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli, del 1977), quindi i dieci anni che vanno dal 2010 al 2020 (tra i quali citiamo Noah, del 2014, con Russel Crowe nei panni del patriarca biblico), con un film in meno. Normale che agli albori della settima arte, nella decade che concludeva il secondo millennio, le pellicole realizzate siano state appena 5 (tra cui il primo cortometraggio sulla poi gettonatissima figura di Salomé, nel 1908), e che il periodo meno prolifico sia stato invece quello imminente al secondo conflitto mondiale, terminato il quale si è assistito invece ad una bella rinascita del cinema: tra gli anni ’50 e ’60 furono infatti realizzati 20 film (su tutti I dieci comandamenti).
Ancora, se usciamo dalla cerchia di film prettamente biblici, accontentandoci di quelli che riportano citazioni o richiami più o meno diretti alla Sacra Scrittura, la lista è ancora enorme. Solo per citare i più noti: Il figliol prodigo, titolo utilizzato da Ferdinand Zecca nel 1901, da Marcel Carné sei anni dopo e da Richard Thorpe nel 1955; quindi Furore di John Ford, del 1940, regista che otto anni più tardi firma In nome di Dio; è del 1954 Ordet del danese Karl Dreyer, di un anno dopo La valle dell’Eden del greco Elia Kazan, stesso anno in cui uscì in Spagna Marcellino pane e vino, mentre il 1956 è quello del capolavoro di Ingmar Bergman, Il settimo sigillo. Se ci avviciniamo un po’ di più ai giorni nostri (si fa per dire..), ecco Apocalypse Now di Francis Ford Coppola e I predatori dell’arca perduta di Spielberg, cineasta che l’anno seguente realizza E.T.; la seconda metà degli anni ’80 è stata teatro di Je vous salue Marie del francese Godard e Il pranzo di Babette, di un altro celebre danese, Gabriel Axel. Se Il miglio verde ha salutato la fine del secondo millennio, The Body di Jonas McCord ha inaugurato il terzo.
Quanto ai film che hanno adottato una certa simbologia biblica, non possiamo non menzionare Fantasia di Walt Disney, Miracolo a Milano di Vittorio De Sica e Il diario di un curato di campagna di Bresson, ma pure La congiura degli innocenti del “maestro della suspense” Alfred Hitchcock, o Teorema del geniale Pasolini. In questa speciale categoria spicca l’italiano Ermanno Olmi, ad esempio con Cammina cammina, mentre altri giganti del cinema come Andrej Tarkovskij e Wim Wenders hanno realizzato rispettivamente Sacrificio e Il cielo sopra Berlino. Del 1987 è Angel Heart – Ascensore per l’inferno di Alan Parker; del 1999 Al di là della vita di Scorsese e Una storia vera di David Lynch, mentre tra le trilogie più note troviamo Matrix, dei fratelli (poi sorelle) Lana e Andy Wachowski, Il Signore degli Anelli di Peter Jackson (nome e cognome che sono già un programma, traducibili in italiano con “Pietro di Giacomo”) e Le cronache di Narnia di Andrew Adamson (“uomo d’Adamo”, che dunque non vuol essere da meno!).
Tra i film più noti, infine, che richiamano le vicende del cristianesimo nascente, ecco Quo vadis?, La tunica e Ben Hur, tutti degli anni ’50.
Il regista riminese Federico Fellini un giorno disse: «Cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio».. cosa intendeva? Chissà.. Un altro gigante, l’attore, doppiatore e regista Giancarlo Giannini sostiene poi che «Dio ci ha dato la possibilità di scoprire i piccoli misteri di tutti i giorni: concentriamoci su quelli». Noi, per ora, accontentiamoci di rimanere ai misteri legati al binomio Bibbia e cinema. Tra coloro che l’hanno approcciato val la pena menzionare il pastore metodista, nonché teologo pop, Peter Ciaccio, che nel volume pubblicato dall’editrice Claudiana, Bibbia e cinema, intitola non a caso il primo capitolo Sia la luce!: «Le prime parole che, secondo la Bibbia, Dio pronuncia suonano all’orecchio di chi è nato dopo l’invenzione del cinematografo come quelle del regista che, dopo il ciak, urla: “Azione!”. Come per le parole pronunciate da Dio, infatti, l’urlo del regista non genera solo la ripresa di una scena, ma va a creare un mondo che non esisteva prima se non nella mente del suo autore». Il teologo prosegue sottolineando come, dall’avvento del cinema, ognuno abbia modificato il proprio modo di leggere una storia, scrive infatti: «Risulta evidente che la maggior parte degli scrittori contemporanei, in maniera del tutto involontaria, elaborino i loro racconti come fossero scene di un film». Ma non è tutto, precisa infatti come la maggior parte dei film “biblici” siano stati prodotti ovviamente a Hollywood, nello specifico da «autori e produttori ebrei e protestanti, ovvero rappresentanti delle più iconoclaste tra le culture figlie della Bibbia». Diversamente dalla diffidenza mostrata in ambito cattolico che, a parer suo, tuttora persiste. Interessante..
Che la Sacra Scrittura sia un testo pregnante l’intero Occidente, per Ciaccio lo dimostra ad esempio il capolavoro già citato di Steven Spielberg E.T. l’extraterrestre; dice in proposito: «Ci sono infatti dei chiari paralleli tra il cucciolo alieno e Cristo: compie miracoli, viene arrestato e ucciso dal potere, risorge e ascende al cielo, salutando l’amico Elliot con le parole: “I’ll be right here” (“Io sarò sempre qui”), riecheggiando le ultime parole di Gesù nel Vangelo di Matteo (28,20). Eppure – prosegue – Spielberg ha sempre negato la volontarietà di questo parallelo: dobbiamo credergli?». Certo che no, aggiungiamo noi. Il pastore metodista conclude poi con ironia: «è curioso che un regista che non ha mai disdegnato i sequel.. non ci abbia ancora proposto un E.T. 2.. Così noi spettatori aspettiamo ancora il ritorno di E.T. e, allo stesso tempo, aspettiamo il ritorno di Cristo». Geniale!
Il teologo ci tiene poi a precisare che la frequenza con la quale è stato rappresentato Gesù, indiscutibilmente il personaggio biblico più trattato dal cinema, abbia generato una sorta di “iper-genere”, il Jesus-film, sganciato da altri generi cinematografici specifici, perché capace di muoversi trasversalmente all’interno di tutti o quasi: dal musical Jesus Christ Superstar alla parodia Brian di Nazareth, passando per The Passion of the Christ, a parer suo di genere horror, ma su questo potremmo dissentire.
Le pellicole gesuane da lui prese in considerazione sono diverse, attingendo dal testo Gesù e la macchina da presa. Dizionario ragionato del cinema cristologico, dell’autore che ci ha dato il “là”, Dario Edoardo Viganò. Anzitutto Intolerance, capolavoro del cinema muto del 1916; Il Re dei re di DeMille; Il Re dei re di cui Nicholas Ray – famoso per aver diretto Gioventù bruciata con James Dean – fece un remake nel 1961, in cui il ruolo chiave è giocato da Barabba. Ciaccio fa notare che si tratta della «prima grande produzione a non avere remore a mostrare il volto del Messia: chi ha visto Ben Hur.. – precisa – ricorderà che di Gesù si vedono solo le mani e la nuca.. ovviamente (una) conseguenza della spiritualità protestante.. che, in obbedienza al comandamento sulle immagini (Es. 20,4), rifiuta la rappresentazione fisica di Dio Figlio». Quindi La ricotta di Pasolini, secondo lui una versione satirica del Jesus-film; La più grande storia mai raccontata, uno dei più grandi flop commerciali; Il Messia di Rossellini, prima pellicola italiana (siamo nel 1975) in cui Gesù appare a colori; I giardini dell’Eden, dove Alessandro D’Alatri si preoccupa di mostrare il figlio di Dio dai dodici ai trenta; il già citato “horror” gibsoniano, focalizzato sulle ultime ore terrene di Cristo e basato sugli scritti della mistica cattolica tedesca Anne Catherine Emmerich, una pellicola in cui la violenza raggiunge a parer suo livelli pornografici, richiesti dalla necessità di scandalizzare, riuscendo tuttavia ad avere intuizioni geniali, su tutte l’utilizzo delle lingue originali e del flashback. Quanto a Il Vangelo secondo Matteo, Ciaccio ricorda che Pasolini lo realizzò mentre ancora era alle prese col processo per vilipendio, una pellicola che «si situa nel dibattito e nelle speranze suscitate dal Concilio Vaticano II e da papa Giovanni XXIII, cui il film è dedicato». Nella sua opera il poliedrico bolognese si concede qualche licenza narrativa, due in particolare: prima di tutto pone Maria ai piedi della croce (particolare riportato da Giovanni, non da Matteo), ma soprattutto ad interpretare la Vergine è la vera mamma del regista.
Ciaccio passa quindi in rassegna due musical teatrali diventati poi film, entrambi ambientati “ai giorni nostri” (anche in questo caso si fa per dire..): Godspell, nella New York degli anni ’70, e Jesus Christ Superstar, «l’unico film su Gesù ad essere girato in Israele». Il pastore metodista evidenzia quindi il lato umano del nazareno, che emerge nella canzone I Only Want to Say, sottofondo della preghiera di Gesù nel Getsemani, il cui testo recita: «Voglio solo dire che.. Sono cambiato. Non sono più sicuro, come quando abbiamo iniziato. Allora ero ispirato; ora sono triste e stanco.. vorrei sapere, mio Dio.. Perché dovrei morire? ..quale sarà la mia ricompensa? ..Puoi mostrarmi ora che non verrei ucciso invano? ..prendimi, ora! Prima che cambi idea».
Del Gesù di Nazareth di Zeffirelli precisa poi che fu pensato come «il film-canone, su cui tutti gli altri avrebbero dovuto essere misurati». Non sappiamo se la produzione sia riuscita nel suo intento, ma con ogni probabilità il volto del britannico Robert Powell rimarrà “proprio quello di Gesù” per diverse generazioni.
Tra i numerosi generi cinematografici sul Figlio di Dio non poteva mancare la parodia.. che dire allora di Brian di Narareth dei Monty Python? Tra i film più vietati della storia del cinema (in Italia uscirà solo nel 1991, con dodici anni di ritardo), il gruppo comico inglese – che annovera ben cinque laureati, di cui tre a Cambridge e due ad Oxford, non dunque degli sprovveduti – scelse di narrare non la vita di Gesù, ma quella di un bimbo nato nella stalla accanto: Brian Cohen, figlio di un soldato romano di cui non si sa nulla e di una prostituta, particolari che già ci fanno capire i perché dell’iniziale censura. Scambiato per il Messia, «è una satira di tutte le religioni, del potere e dei movimenti rivoluzionari degli anni Settanta del Novecento», ragion per cui gli italiani del 1991 capirono ben poco!
Non meno polverone sollevò nel 1988 L’ultima tentazione di Cristo, pellicola di Martin Scorsese (la cui vicenda spirituale è stata raccontata dal gesuita Antonio Spadaro nel libro Dialoghi sulla fede) che, purtroppo – tuona Ciaccio – «si ricorda più per gli episodi di cronaca nera a esso legati (su tutti l’incendio del cinema Saint Michel di Parigi) che per il valore artistico, seppure notevole». È opportuno dunque chiedersi da dove nasca il valore artistico di questo film? Anzitutto, sostiene il pastore, dalla genialità dei «tre “eretici” delle grandi famiglie del cristianesimo: il regista Martin Scorsese, ex seminarista cattolico, lo sceneggiatore Paul Schrader, ex studente di teologia protestante – per essere precisi, presbiteriano – , e l’autore del libro L’ultima tentazione (1960), Nikolas Kazantzakis, ortodosso greco, scomunicato dalla propria chiesa appunto per questo testo». Va detto però che il protagonista in senso stretto di questa pellicola non è Gesù, bensì Giuda, l’antagonista. È l’Iscariota a sentirsi tradito dal Figlio di Dio, proprio perché quest’ultimo ha scelto di rinunciare alla sua missione scendendo dalla croce.
Tra i registi che hanno azzardato il binomio Bibbia e cinema non ci sono tuttavia solo mostri sacri, ma anche qualche autore, diciamo così, “minore”: lo spagnolo Luis Buñuel (cui è attribuito lo splendido ossimoro «Sono ateo, grazie a Dio»), Yasujirō Ozu, Terence Davies, Akira Kurosawa, Hayao Miyazaki, Peter Weir (celebre per Witness, L’attimo fuggente e The Truman Show), e tanti altri..
Ma non è tutto, il teologo precisa che perfino il genere western non sarebbe nato senza la Bibbia! Un esempio su tutti: «il sodalizio artistico e ideologico tra l’attore presbiteriano John Wayne e il regista cattolico John Ford, difficile in quell’Irlanda da cui entrambi provenivano, diventa possibile nella Terra promessa». E ancora: «è l’epopea dell’Esodo ad aver fornito quella solidità ideologica e culturale che ha permesso l’affermazione del genere.. Il libro di Giosuè è quello che parla della conquista della Terra promessa e della lotta contro le popolazioni che la abitano. Nel western questo si traduce nelle battaglie contro indiani e messicani».
«..il cinema – lasciamo per l’ultima volta che sia Peter Ciaccio a parlare – può compiere quel miracolo che in altre epoche e in diverse culture è stato affidato a pittori, scultori e drammaturghi: la rappresentazione, hic et nunc, della sfera divina, spirituale, sacra.. Sia la luce e la luce fu. Questa è l’opera di Dio nella Bibbia. Questa è l’opera dell’autore di un film.. La Bibbia è per tutti. E anche il cinema. Teniamo accesa quella luce che rischiara le nostre vite».
Recita
Cristian Messina
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