
Testo della catechesi
Tra le opere d’illustrazione biblica più monumentali figura senz’ombra di dubbio quella di Gustave Doré, commissionatagli nel 1864 e pubblicata per la prima volta due anni dopo. Come sempre, tuttavia, per poter comprendere meglio l’opera d’arte occorre prima conoscere l’artista. Chi è Gustave Doré?
Nasce a Strasburgo, dal latino Strateburgus, “la città delle strade”, il 9 gennaio 1832. In quel centro abitato del nord est, Francia e Germania sono divise dai 245 metri del Ponte dell’Europa che, attraversando il fiume Reno, permette di passare in men che non si dica dalle cittadina di Kehl alla più grande Strasburgo, che nel tempo ha sostituito la più antica Argentoratae (poi Argentoratum), in italiano Argentina, un castrum (accampamento in cui soggiornava l’esercito romano) che sorgeva proprio in quelle zone. Gustave crebbe in una casa di Rue des Veaux, “via dei vitelli” che costeggiava la meravigliosa cattedrale gotica di Notre-Dame, a lungo termine di paragone tra gli edifici più alti del mondo, con i suoi 142 metri. Costruita nel 1015, dal 1525 al 1689 fu il principale luogo di culto protestante della città, ma, dopo la cessione dell’Alsazia alla Francia da parte dei tedeschi, il luogo di culto divenne cattolico. Nato nell’architettura, il piccolo Gustave crebbe in mezzo alle favole alsaziane – su tutte La bella e la bestia, ambientata proprio in quella zona – e alla natura, soprattutto grazie alle passeggiate col padre, che gli fecero scoprire quella speciale predilezione per gli alberi, da lui considerati alla stregua di veri e propri personaggi.
Se Gesù a dodici anni compì il tragitto dalla periferica Nazareth alla grande Gerusalemme, alla stessa età il nostro Gustave passò dalla più piccola Strasburgo alla capitale, quella Parigi che gli spalancò il mondo, grazie soprattutto all’incontro col conservatore della Biblioteca dell’Arsenale Paul Lacroix, che a vent’anni lo orientò sulla strada dell’illustrazione dei classici. Ma già a diciassette collaborava con la rivista umoristica Journal pour rire, quel “giornale per ridere” che esaltò la sua innata capacità di evidenziare il lato comico delle cose. Datosi alla pittura, iniziò a frequentare i migliori ateliers, sguazzando nell’arte e nella letteratura del Romanticismo, ma rifiutando quella del Neoclassicismo, correnti unite dal comune sguardo per il passato, divise però da una diversa concezione dell’armonia e del singolo individuo. La sua ricerca artistica ad un certo punto si orientò verso l’illustrazione e, dopo aver imparato ad incidere sempre meglio sul legno, gli fu suggerito da Lacroix di leggere le opere di François Rabelais, scrittore vissuto a cavallo tra il XV e XVI secolo, considerato il maggior esponente di quel pensiero che, rifiutando i cosiddetti generi “alti” (ad esempio la lirica di Petrarca o l’epica cavalleresca), predilige al contrario tutto ciò che viene dal “basso”, ovvero dal corpo e da tutto quello che lo riguarda, sfera sessuale compresa.
Nel 1855 iniziò ad illustrare Les contes Drolatiques (“I racconti divertenti”) del celebre Honoré de Balzac, e a ventitré anni aveva già raggiunto la notorietà. In poco tempo diede vita ai suoi capolavori illustrativi, su tutti il Don Chisciotte di Cervantes, il Paradiso perduto di Milton, la Storia delle Crociate di Michaud, l’Orlando Furioso di Ariosto e la Divina Commedia di Dante. La sua produzione varia e multiforme – concretizzatasi in album per bambini, giornali, libri e perfino copertine di brani musicali – raggiunse il suo apice con la Sacra Scrittura, che il disegnatore, pittore, scultore e incisore seppe sintetizzare visivamente in 241 magnifiche tavole. Pubblicata da Alfred Marne nel 1866, la prima edizione della Sacra Bibbia uscì in due volumi. La copertina originale diceva testualmente: “La Sainte Bible. Traduction nouvelle selon la vulgate”, evidenziando tra l’altro la dovuta approvazione dell’arcivescovo di Tours.
241 tavole, anche se alcune case editrici più recenti ne hanno pubblicate spesso solo 229.. noi ci atterremo a quest’ultima cifra. 229 tavole riguardanti per due terzi il Primo Testamento, in cui ben 43 scene sono relative al Pentateuco, di cui 29 inerenti la sola Genesi. Nella seconda Alleanza, invece, dei 27 libri canonici che la compongono, solo 6 sono stati rappresentati: i quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli e l’Apocalisse. Nella top ten di quelli più sceneggiati figurano Daniele, 1Samuele, 2Re, Esodo, i già citati Atti, il quarto Vangelo, il libro dei Giudici che, con le sue 17 tavole si accaparra la cosiddetta e quanto mai appropriata “medaglia di legno” (!!), per cedere il podio a Luca (19 scene), Matteo (23) e Genesi, che con 29 tavole è in assoluto il libro biblico più rappresentato.
Cifre, si badi bene, che dicono in qualche modo ciò che nell’immaginario collettivo – non solo né tanto quello di Doré, né della sola sua epoca e cultura – è biblicamente più iconico. Non solo, ci chiama anche a riflettere su quella che è la nostra percezione del testo biblico. Ad esempio: su 151 tavole del Primo Testamento, ben 62 rappresentano scene di violenza fisica, mentre nel Secondo sono 15 su 78, legate soprattutto alla crocifissione di Gesù. Le percentuali di scene violente – 41% nell’Antico Testamento, 19% nel Nuovo – ci dicono un cambiamento tra le due Alleanze. Se consideriamo poi che un terzo delle tavole ci parla di violenza, beh, qualche considerazione (che lasciamo agli esperti) occorrerà pur farla. Per ora ci basti constatare che la Bibbia non è il libretto sdolcinato e rassicurante che spesso andiamo cercando.
Ancora, se comprendiamo la scelta di non rappresentare quelle che sarebbero state difficili come tavole da rendere (ad esempio tutto l’epistolario, paolino e non), stupisce forse l’assenza di libri come Osea o il Cantico dei Cantici.
Piccola annotazione: comune a tutte le tavole è la firma che Doré appone in basso a sinistra, mentre a destra compare, sempre in basso, il nome del collaboratore di turno, su tutti quello dell’amico Heliodore Joseph Pisan.
In un articolo de Il Sole 24 Ore del settembre 2020, intitolato La “Bibbia” di Doré incisa nella memoria, Gianfranco Ravasi sottolinea che quest’opera monumentale fu possibile anche perché Doré si affidò «certo alla sua fantasia, ma anche non ignorando la documentazione disponibile. Dalla Palestina, infatti, cominciavano a giungere le prime fotografie e, benché l’artista non si fosse mai avventurato in quell’area, i rapporti dei giornalisti e dei viaggiatori (si pensi all’Itinerario da Parigi a Gerusalemme di Chateaubriand) gli permettevano di avere informazioni topografiche, archeologiche e storiche di una certa attendibilità». Il cardinale aggiunge che «Quella di Doré, pur con tutti i limiti della sua conoscenza in merito, può essere considerata una vera e propria esegesi figurativa al testo sacro, inseguito nelle sue vicende storiche, esaltato nei suoi profeti, celebrato nella sua pienezza neotestamentaria». Il biblista milanese evidenzia quindi l’influenza che queste tavole hanno avuto in quel periodo e non solo, cinema compreso: si pensi al celebre I dieci comandamenti del regista americano Cecil Blount De Mille, che negli anni cinquanta del ’900 ricorse proprio a Doré. Ma soprattutto l’artista fu “ispiratore”, diciamo così, di «una lunga serie di edizioni della Bibbia.. in Inghilterra e negli Stati Uniti.. in Germania.. (e) in tante altre edizioni minori della Bibbia, spesso solo con una selezione delle immagini dell’artista francese».
Proviamo allora a scorgere qualche caratteristica della “Bibbia di Doré”, aperta da Dio Padre che, col braccio destro alzato (gesto molto frequente nei personaggi dell’autore) crea la luce (Gn 1,1-18), e chiusa dall’angelo che mostra a Giovanni la Gerusalemme celeste (Ap 21,9-27). In tutte le 229 tavole, essendo in bianco e nero, è dunque determinante il gioco di luce-ombra, chiaro-scuro, bene-male.
Un soggetto molto rappresentato è l’angelo con la spada in mano, che compare quattro volte nel Primo Testamento e la metà nel Secondo: la cacciata dei progenitori da Eden (Gn 3,9-24), la morte dei primogeniti in Egitto (Es 12,21-29), quando ferma Balaam e la sua asina (Nm 22,21-36), quando passa a fil di spada, appunto, i 185.000 assiri dell’armata di Sennacherib (2Re 19,29-35), o quando, questa volta più di uno, difendono la Vergine dal drago (Ap 12,1-9). Infine nel Giudizio Universale, a dividere ciascuno in base alle proprie opere (Ap 20,1-13).
Tra le scene fisicamente più violente non potevano mancare il fratricidio di Abele (Gn 4,8-16), il Diluvio (Gn 6,5-8; 7,11-24; 8,1-13), le piaghe d’Egitto (Es 9,1-7; 10,21-29) o la morte dell’esercito del faraone nel Mar Rosso (Es 14,21-31), ma anche e soprattutto quelle meno note: dalle teste mozzate nella tavola in cui Giosuè risparmia la prostituta Raab (Gs 6,22-27) a Giaele che, preso un picchetto da tenda, lo conficca nella tempia del fuggiasco Sisara (Gdc 4,15-22), o, tra le più allucinanti dell’intera Scrittura, la concubina del levita che, prima viene stuprata da più uomini per un’intera notte (Gdc 19,15-27), poi trasportata su un asino dal “marito” e infine tagliata dallo stesso in dodici pezzi, successivamente spediti a tutto il territorio d’Israele! (Gdc 19,28-30) È la stessa pericope a commentare l’avvenimento: «Non è mai accaduta e non si è mai vista una cosa simile..». Quindi l’episodio suicida di Saul (1Sam 31,1-7), i carri del re Davide – sì, proprio lui, il pastore suonatore di cetra! – che, armati di falci, trucidano gli Ammoniti (2Sam 12,26-31).
Tra le tavole violente, alcune hanno a tema la lapidazione, da quelle meno conosciute di Acan – scena quasi da Cavaliere oscuro della DC Comics, forse la più bella dell’intera Bibbia doreiana (Gs 7,19-26) – e dell’armata amorrea, seppellita da una pioggia di pietre (Gs 10,1-11), alla più nota di tutte, quella del proto martire Stefano (At 7,51-60).
Se le immagini più crude Doré ce le regala nella decapitazione di Oloferne da parte di Giuditta (Gdt 13,2-17) e nel martirio del vecchio Eleazaro (2Mac 6,18-31), quelle maggiormente drammatiche – e sono tante – partono dalla schiava Agar che giace nel deserto col piccolo Ismaele quasi morente (Gn 21,15-21) e, passando da Rizpa, moglie di Saul, che protegge dalle fiere i corpi dei suoi figli impiccati (2Sam 21,1-10), e dall’uccisione da parte di Nabucodonosor dei figli di Sedecia – davanti ai suoi occhi! (2Re 25,1-7) – arrivano alla strage degli innocenti (Mt 2,16-18), al bacio di Giuda (Mt 26,47-54) e al rinnegamento di Pietro (Mt 26,69-75), passando per le tavole dedicate al Padre misericordioso e al ritorno del suo figlio minore (Lc 15,11-32).
Tra le scene più belle ecco quella dei tre giovani nella fornace (Dn 3,14-24), Giona rigettato dal grande pesce (Gio 2,1-11) e la nascita di Gesù, col bimbo divino che, come in altre celebri tele, è lui stesso la luce che illumina gli astanti (Lc 2,6-20). Meravigliose inoltre la tempesta sedata (Mc 4,35-40) e Gesù che, col “solito” braccio alzato, cammina sulle acque, dimostrando in tal modo la sua signoria sul male (Mt 14,22-32).
Interessante anche la tavola che ritrae la parabola del fariseo e del pubblicano che salgono al tempio per pregare: lo spettatore la guarda dall’interno del luogo di culto, con Gesù e coloro a cui la sta narrando all’esterno, sull’uscio, ad indicare quanto sta avvenendo dentro (Lc 18,9-14). Strepitose infine l’Ultima Cena, con l’Iscariota nelle vesti dell’apostolo più scuro – che in tal modo ha fatto sua quella notte simbolica di cui parla l’evangelista Giovanni (13,30) – , e la Pentecoste in cui, nel buio totale della sala, vede come uniche fonti di luce le fiammelle sul capo degli apostoli e la colomba che presiede l’evento (At 2,1-4).
Doré è delicatissimo nel mostrarci l’anziana Noemi con le due nuore (Rt 1,4-16), o Giobbe seduto sulla cenere, consolato dai tre amici “bigotti”, che tuttavia condividono con lui e senza rivolgergli la parola – «per sette giorni e sette notti» – il suo dolore (Gb 2,3-13). Non meno deliziose le due tavole che narrano la parabola del buon samaritano (Lc 10,30-37) e quella in cui Gesù prende le difese dell’adultera, con tanto di scritta a terra – incomprensibile – del maestro (Gv 8,1-12).
Dicevamo che il binomio buio-luce la fa da padrona in Doré.. se le tavole più chiare sono l’entrata di Gesù in Gerusalemme (Mt 21,1-11) e lo stesso mentre indica il tributo da dare a Cesare (Mt 22,15-22), tra quelle più tetre abbiamo l’abbandono del piccolo Mosè sul Nilo (Es 1,8-22; 2,1-3), ovviamente la piaga delle tenebre (Es 10,21-29) e due crocifissioni (Mt 27,46-50; Lc 23,44-45). Tra quelle invece in cui la luce gioca un ruolo ancor più decisivo ed evidente, nemmeno a dirlo, c’è la creazione della luce (Gn 1,1-18), ma anche la risuscitazione del figlio della vedova di Zarepta da parte di Elia (1Re 17,17-24), Geremia che detta le sue profezie a Baruc (Ger 36,1-8), un imberbe Daniele illuminato all’interno della famosa “fossa dei leoni” (Dn 6,13-24), l’Annunciazione a Maria, in cui l’arcangelo stesso sembra “fatto” di luce (Lc 1,26-38), il battesimo di Gesù (Mt 3,13-17), la resurrezione di Lazzaro (Gv 11,31-45) e Paolo che cade a terra, questa volta non “da cavallo”, rimanendo in tal modo fedele al testo, che infatti non menziona l’animale, pur sottintendendolo (At 9,1-8).
Le tavole forse più spettacolari, quasi hollywoodiane, sono le morti di Eleazaro Maccabeo schiacciato da un elefante (1Mac 6,31-46), quella del Leviatàn nella visione di Isaia (Is 27,1) e un insospettabile Gesù che, alla vista del mercimonio che ha luogo nel Tempio, inizia a ribaltare tavoli e sedie (Mc 11,15-18).. nulla da invidiare a Bud Spencer e Terence Hill!
Non mancano neppure scene splatter (dall’inglese to splatt, “schizzare”, sottinteso il sangue), come quella che ritrae la crudele regina Gezabele mentre viene gettata dalla finestra (il Secondo Libro dei Re dice testualmente che «parte del suo sangue schizzò sul muro e sui cavalli, che la calpestarono») e del cui corpo non viene trovato «altro che il cranio, i piedi e le palme delle mani» (2Re 9,22-37), o quella che racconta di stranieri che, in terra di Samaria, vengono sbranati e divorati dai leoni (2Re 17,18-25).
Se i soggetti soli più rappresentati da Doré sono otto (il già citato Acan lapidato, Sansone, Salomone, Isaia, Baruc, Amos, la Maddalena pentita mentre medita davanti ad un teschio, e Giovanni sull’isola di Patmos), quelli ritratti in coppia sono tantissimi (Caino e Abele, Giacobbe e Rachele, Sansone e Dalila, Davide e Mikal, mentre quest’ultima lo cala dalla finestra – nulla da invidiare questa volta alla commedia all’italiana! – Gesù tentato dal demonio, ecc..), ma non meno frequenti sono le triadi fissate nero su bianco dall’illustratore francese, come il re, Aman ed Ester che banchettano, i due anziani guardoni che osservano con fare lussurioso la bella Susanna mentre fa il bagno, la famiglia di Nazareth che fugge in Egitto (con un preoccupato Giuseppe nell’atto di guardarsi le spalle), o la scena della trasfigurazione, che di triadi ce ne mostra addirittura due (Pietro, Giacomo e Giovanni in basso, Gesù, Mosè ed Elia in alto), oppure il maestro, prima in compagnia delle sorelle Marta e Maria, poi dei due di Emmaus.
In un articolo apparso sempre nel settembre 2020 sul quotidiano cattolico Avvenire, Roberto Mussapi scrisse: «A quindici anni La ballata del vecchio marinaio divenne uno dei libri faro della mia vita.. Il merito della folgorazione era stato dell’illustratore, Gustave Doré». Il giornalista ritiene poi, sulla scia del già citato Ravasi, che la rappresentazione doreiana dell’Antico Testamento sia soprattutto epica, a differenza di quella del Nuovo, che definisce “drammaticamente caravaggesca”. «Doré – conclude, e noi con lui – trasforma, traduce, i versi e la voce dei poeti in immagine, ma non è solo narratore, è un narratore drammatico e drammaturgo».
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Cristian Messina
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