
Testo della catechesi
Nel 1993 il trentatreenne regista giapponese Hideaki Anno, mentre stava attraversando un periodo di profonda depressione, iniziò a dar vita a Neon Genesis Evangelion, serie anime diventata poi celebre, non solo nel mondo adolescenziale nipponico. Trasmesso in Giappone a partire dal 4 ottobre 1995, ma ambientato nel 2015 (momento che al tempo appariva evidentemente un lontano futuro), narra le gesta di tre quattordicenni ingaggiati dall’agenzia NERV: il protagonista Shinji Ikari e le co-protagoniste Rei Ayanami e Asuka Langley, tutti piloti di giganteschi Evangelion (che, denominati spesso con l’abbreviazione Eva, non sono veri e propri robot, ma in qualche modo esseri viventi), a difesa della città di Neo Tokyo-3 e dell’intera umanità, attaccata dagli Angeli (o “Apostoli” nel nuovo adattamento italiano e nell’originale giapponese Shito), giganteschi alieni dal sapore apocalittico, mostri in parte robotici e in parte organici, il cui obiettivo è dar vita al Third Impact, il “Terzo Impatto”.
Ma di cosa parla questa serie, o meglio, quali tematiche affronta? I rimandi filosofici, seppur in filigrana, sono diversi: in un episodio si fa riferimento al “dilemma del porcospino” di Arthur Schopenhauer, là dove i “porcospini” – che è bene tengano le distanze tra loro – sarebbero Shinji e le sue compagne; in un altro al concetto di “malattia mortale” di Søren Kierkegaard; senza tralasciare la psicoanalisi e lo “stadio orale” dello sviluppo infantile teorizzato da Sigmund Freud. Il tema più ricorrente tuttavia – lo si evince dalle innumerevoli citazioni e dai diversi nomi – è la Bibbia e, più in generale, la religione, quelle cristiana ed ebraica in primis. Lo stesso regista ha sottolineato l’importanza religiosa dei simboli in questa serie. Oltre al titolo, già programmatico – nonostante Anno su ciò sia rimasto un po’ criptico e ambiguo – , i rimandi sono numerosissimi: Adam e Lilith, dai quali sono creati gli Eva. Se per Adam (dall’ebraico “terroso”) non dobbiamo utilizzare troppa fantasia, Lilith ci chiede invece di tornare alle religioni mesopotamiche del terzo millennio a.C.: un demone femminile associato alla tempesta e alla morte. Tale figura (una volta fatta propria dalla spiritualità ebraica, che l’avrebbe conosciuta durante l’esilio babilonese), è legata all’adulterio, alla lussuria e alla stregoneria, insomma quelli che nell’immaginario collettivo, soprattutto maschile, sono i tratti peggiori del genere femminile. Il folklore ebraico medievale fa quindi diventare Lilith la prima compagna di Adamo, creata assieme a lui e prima di Eva, mutuando l’intuizione dal fatto che in Genesi si parla di due creazioni, nella prima delle quali Dio dà vita all’umanità, «maschio e femmina» (Gn 1,27). Scappata dal giardino di Eden, preferendo alla compagnia del “marito” quella dei demoni, verso la fine dell’Ottocento l’emancipazione femminile occidentale l’ha scelta come simbolo di colei che non si assoggetta al patriarcato maschile. Tornando alla nostra serie, si scoprirà che Lilith è tenuta nascosta e inchiodata ad una croce rossa, priva degli arti inferiori, nel Terminal Dogma (dal greco “decreto, dottrina”, in origine “parere”, da dokêin, “sembrare”), la sezione più profonda del quartier generale della NERV.
Riprendendo i molteplici riferimenti biblico-religiosi, la sigla di apertura ci mostra un cherubino, figura mitologica mutuata dall’antica divinità mesopotamica Karîbu, afferma il dizionario delle immagini e dei simboli biblici curato dall’esperto Manfred Lurker (1928-1990), che scrive in proposito: «Karîbu era la custode delle porte e aveva accesso al Santuario (il nome sarà trasferito ai cherubini biblici). – e aggiunge – Nell’arte assira, uomini alati con testa di aquila circondano l’albero della vita, e uomini-toro alati sono i custodi dell’ingresso di templi e palazzi». Non è pertanto un caso che, nella sigla di Evangelion, dopo il cherubino compaia l’Albero delle Sephiroth o della Vita, che nella cabala ebraica indica quell’infinito divino, legato al numero dieci, che si rivela progressivamente all’essere materiale. Quindi i diversi Angeli, l’Arca, la Camera del Guf, secondo la mistica ebraica una “stanza celeste” in cui dimorano le anime prima di incarnarsi. Si fa inoltre cenno alla Cerimonia di purificazione della Terra Rossa, quel Misogi in cui il corpo viene purificato con un bagno in acqua. Simbolo della NERV è una genesiaca mezza foglia di fico. Si parla quindi di Frutto della Vita e Frutto della Conoscenza, quest’ultima causa però del Second Impact. Poi i Golem, che l’ebraico moderno traduce con robot, parola che, giunta a noi dalla lingua francese, deve la sua etimologia al cèco ròbot, derivato a sua volta da robota “lavoro”, con cui lo scrittore Karel Čapek, nel suo dramma fantascientifico del 1920, R.U.R., chiamava gli automi che svolgevano il loro compito al posto degli operai. E qui, etimologia a parte, Mauro Biglino ci andrebbe a nozze..
Interessantissimo poi il riferimento alla lancia di Longinus, quella con cui Gesù sarebbe stato trafitto al costato, per alcuni collegabile anche alla lancia delle due figure mitiche scintoiste: Izanagi, il “maschio-che-invita”, colui che avrebbe creato il Giappone assieme ad Izanami, la “femmina-che-invita”.. ma nella serie ad essere trafitta è Lilith.
Insomma, davvero una pioggia di riferimenti.. e non è finita, abbiamo infatti il logo della Seele (in tedesco “anima”, misteriosa organizzazione capace di influenzare i governi mondiali), composto da sette occhi su un triangolo rovesciato, numero e figura geometrica che rimandano evidentemente a Dio, a sottolineare che lo scopo del suo progetto è far diventare l’uomo non come Dio, ma Dio stesso, sostituendosi a Lui: nient’altro che il peccato d’origine. Seele che utilizza tra l’altro documenti chiamati rotoli del mar Morto, mentre un supercomputer è denominato Magi e, non a caso, formato da tre parti: Casper, Melchior e Balthasar. Ci sono quindi il grande istituto Marduk, nome della celebre divinità babilonese la cui etimologia risale forse dall’accadico “vitello del sole”, e la base Tabgha, località a tre chilometri da Cafarnao in cui la tradizione cristiana situa l’episodio del primato petrino, quello della moltiplicazione di pani e pesci, nonché la pagina delle Beatitudini. E si potrebbe andare avanti..
L’opera di Hideaki Anno, che prende avvio come detto nel 1995, non è semplice da seguire, a partire dal fatto che, cronologicamente, gli episodi sono stati intercalati da alcuni lungometraggi, ad esempio Death & Rebirth, “Morte e Rinascita”, che nel 1997 riassume la serie con qualche scena inedita, mentre The End of Evangelion, dello stesso anno, la conclude modificandone gli ultimi due episodi, il 25° e 26°, che evidentemente non sono stati il risultato di una geniale scelta registica, dettata probabilmente dalla necessità di chiudere la serie in tempo utile e con un budget risicato.
Ma qual era il finale originale della serie? Gli ultimi due episodi sono attraversati da flussi di coscienza dei protagonisti, su tutti quello di Shinji: «Io ho paura di mio padre, lui mi ha abbandonato!», urla in mezzo alla nebbia. La stessa signorina Misato odia suo padre per averla abbandonata. Rei dal canto suo aspira a morire e a “tornare al nulla”, ma Gendō non glielo permette. Asuka, infine, si rivede da piccola, mentre dovette assistere al suicidio della madre, impiccatasi. Il penultimo episodio si chiude col protagonista che si domanda cosa sia la realtà, sentendosi dire dalle coscienze altrui che è lui stesso, ognuno di noi a decidere il proprio mondo: sarebbe questo il perfezionamento umano cui mira il padre-padrone Ikari? Nel 26° ed ultimo, infine, le diverse coscienze dicono che vogliono diventare uno, poiché la solitudine affligge l’umanità: «Per cosa e per chi si vive?», domanda Rei agli astanti, spettatori televisivi compresi. Già, per cosa e per chi viviamo? I tre ragazzini, Shinji, Asuka e Rei rispondono all’unisono che pilotare gli Eva li fa essere sé stessi, sentendosi rispondere che se dipendono dagli Eva, loro stessi diventeranno Eva.. e qui non possiamo non sentire l’eco del Vangelo di Matteo, in cui Gesù dice che «dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). L’altra grande domanda del finale verte quindi su cosa sia la libertà, tanto da far dire a Shinji: «Non potrei esistere se non esistessero gli altri, vero?», e si sveglia! La sua avventura alla NERV è stata dunque solo un sogno? Ad ogni modo ricomincia tutto, con Asuka che lo passa a prendere a casa come tutte le mattine, per non far tardi a scuola. Quello tra l’altro è il primo giorno, in cui, nel tragitto si scontrano con la loro futura compagna di classe Rei e conoscono l’affascinante professoressa Misato. In questo giorno i genitori di Shinji sono con lui, a casa, con la madre ancora viva. Poi a parlare è di nuovo la coscienza del protagonista che, rispondendo ad Asuka, afferma: «Sì, io voglio essere me stesso, io voglio rimanere qui!», mentre tutti attorno si congratulano con lui. Una presa di responsabilità, la sua, non da poco, ciò che in fondo lo fa davvero diventare adulto. Tutto termina con tre frasi scritte: «A mio padre, grazie. A mia madre, arrivederci. A tutti i children, congratulazioni».
Se i temi filosofici e, soprattutto, religiosi, la fanno da padroni, per alcuni è l’incomunicabilità il vero tema di Evangelion: non c’è comunicazione tra i personaggi, fortemente caratterizzati da traumi del passato che impediscono loro ogni apertura all’altro. La stessa agenzia NERV è l’incomunicabilità fatta ambiente. Di più, forse il regista vuole dirci che la trama stessa è incomunicabile, dato che non porta a nulla e si interrompe bruscamente: una presa in giro nei confronti dello spettatore? Se così fosse si tratterebbe almeno di un finale coerente con lo spirito della storia.
Evangelion esprime inoltre il malessere esistenziale che descrive molto bene l’attuale epoca, toccando un nervo scoperto del disagio moderno. Qualcuno fa notare ad esempio che, diversamente dal passato, in cui le figure paterne dei primi robot erano edificanti (su tutte Kenzo Kabuto del Grande Mazinga, il padre adottivo del pilota Tetsuya, che muore sacrificandosi per salvare i figli) – ma, diremmo al bar, “erano altri tempi!” – , in Evangelion al contrario vediamo l’egoista Gendō Ikari non solo abbandonare il figlio, ma addirittura non farsi scrupoli nel sacrificarlo per il suo scopo: ricongiungersi con Yui, la moglie scomparsa.
Altamente significativa è la scena finale del lungometraggio The End of Evangelion, in cui vediamo Shinji risvegliarsi con Asuka su una spiaggia deserta e, dopo averla strangolata, le accarezza la guancia. Il protagonista scoppia in lacrime e allenta la presa, mentre alla ragazza resta un’affermazione che lascia l’amaro in bocca, ma sottolinea quel nichilismo che costituisce un ulteriore tratto caratteristico dell’opera del regista: «Che schifo!», afferma. Diciamo che di “buona novella” in questo caso c’è ben poco, del resto l’originale giapponese suona “vangelo del nuovo secolo”: forse una nuova versione (discutibile) dei progenitori Adamo ed Eva?
Shinji, ad ogni modo, è investito evidentemente di un tratto cristologico: figlio di un dio (Gendō Ikari è più simile a un demiurgo che vuol plasmare la Terra a suo piacimento, questa è infatti la “Nuova Genesi” ideata nel suo delirio di onnipotenza), pur soffrendo l’angoscia e la disperazione per quanto accade a lui e a chi lo circonda, guidato dall’anima della madre Yui (che si trova all’interno dell’Eva-01), sceglie di superare le sue paure. Nel finale di Evangelion 3.0+1.01, Thrice upon a time (“Tre volte, una volta”), Shinji raggiunge la sua piena maturità: anzitutto entrando in dialogo (prima mai avvenuto) col padre, quindi acquisendo il potere della Lancia di Gaius (un artefatto simboleggiante la volontà umana) che gli dona la possibilità di riscrivere l’intera realtà. Confrontatosi un’ultima volta con le persone a lui più care, genera un mondo in cui NERV, Angeli ed Eva non sono mai esistiti, possibilità che tuttavia gli costa cara: sacrificare sé stesso, come Gesù, per poi essere salvato dalla madre Yui, volto divino che nella serie assume un tratto materno.
Più in generale c’è chi, come Lorenzo Barberis, vede nei cartoni dei robot giapponesi un «sottile carattere messianico», fenomeno originato a parer suo da Mao Dante, opera del grande Go Nagai del 1971, che si è lasciato ispirare dalla Divina Commedia. Il più celebre tra i mangaka (gli autori di fumetti manga) ha partorito niente po’ po’ di meno che Devilman (1972-1973), Mazinga Z (1972-1974), il Grande Mazinga (1974-1975) e Goldrake (1975-1977), solo per citare i più famosi. In un articolo del 29 giugno 2019 Barberis conferma quanto Evangelion sia basato «su una rilettura ermetica e gnostica della tradizione cristiana» e che Hideaki Anno, dopo i citati capolavori chiuda in qualche modo il cerchio tornando su temi mistici (che i robot avrebbero affrontato) «con un’opera matura e tutt’altro che banale». Sottolinea quindi che, se il nome della NERV è «un rimando plausibile al sistema neurale (usato per connettere il pilota al suo robot – il termine deriva infatti dal tedesco “nervo”, ndr).. il motto dell’organizzazione (“Dio è in Paradiso, tutto va bene nel mondo”), è all’apparenza rassicurante ma ambiguo, visto che la situazione è l’opposto, una crisi mondiale di stampo apocalittico.. citazione già.. ripresa da Brave New World (1932) di Huxley, il fondamento della fantascienza distopica, dove a Dio il terrificante mondo tecnocratico futuro sostituiva Ford». L’autore fa inoltre notare che la stessa NERV, pur «combattendo all’apparenza gli alieni, ha come suo scopo segreto un pericoloso piano “Per il miglioramento dell’uomo”».
Concludiamo con un’interessante affermazione di Gendō che, nel 25° episodio dice: «Tutti gli animi diventeranno uno, e così si avrà la pace eterna», frase che, seppur pronunciata da questo discutibile padre, ad orecchi più attenti può suonare come l’eco dell’evangelica «perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa» (Gv 17,22), parole che ad ogni eucarestia ascoltiamo forse un po’ troppo distrattamente, eppure si concretizzano nella sconosciuta epiclesi sui comunicandi, la “chiamata dello Spirito sopra” l’assemblea, affinché «ci riunisca in un solo corpo» (Preghiera Eucaristica II).
Recita
Cristian Messina
Musica di sottofondo
Neon Genesis Evangelion Soundtrack. www.archive.com. Diritti Creative Commons
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