
Testo della catechesi
«Se la Bibbia è considerata il libro dei cristiani.. – afferma Éric Denimal – è altrettanto vero che essa appartiene a tutto il genere umano. I cristiani non hanno alcun diritto di monopolizzarla né, tanto meno, di sottrarla all’umanità.. La Bibbia è certamente un libro spirituale.. ma è anche un’opera culturale.. narra (infatti) la saga di un popolo (ebraico, israelita o giudeo che dir si voglia) che si fa specchio di tutti i popoli!». Nell’utilissimo e divertente libro La Bibbia per tutti, la penultima parte del testo è intitolata Una società influenzata dalla Bibbia e inizia così: «Al di là delle polemiche, è evidente che la tradizione ebraico-cristiana ha permeato la cultura, la storia e il pensiero europei. Ne ritroviamo innumerevoli tracce.. in tutte le nostre espressioni artistiche.. modo di agire e di pensare, nella vita di tutti i giorni, nel nostro parlare e nel nostro quotidiano». Se fino ai primi del ’900 la lettura della Bibbia era affare d’élite, perché non tutti sapevano leggere e scrivere, oggi l’analfabetismo è invece specificamente biblico: chi lavora in ambito scolastico, ad esempio, lo sa bene. Se tutti sappiamo cos’è la Bibbia (anche se non la conosciamo), val la pena soffermarsi sul concetto di cultura, che il Vocabolario Treccani così definisce: «dal latino cultura, derivato di colĕre, “coltivare”.. L’insieme di cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo». La cultura di ognuno di noi, in pratica, è frutto di ciò che abbiamo coltivato nel tempo, «siamo quello che mangiamo» per dirla col filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, ma in senso lato. Cioè, in questo momento storico, io sono tutto ciò che nella mia vita ho fatto mio: il cibo ingerito, i luoghi visitati, i libri letti, i film visti, la musica ascoltata, l’arte di cui ho fatto esperienza, ecc.. ma soprattutto sono il frutto delle relazioni che sono riuscito ad intessere. E di tale “coltivazione” ogni giorno mi presenta il raccolto. Il filosofo dell’educazione Aluisi Tosolini, esperto in didattica – avendo speso buona parte della sua vita nel mondo della scuola, prima come docente poi come dirigente – nel testo Bibbia, cultura e scuola, redatto a due mani col teologo Brunetto Salvarani, afferma: «..si fa ancora molta fatica a rendersi conto che la Bibbia.. è prodotto culturale in duplice senso: in quanto è nata in una cultura specifica (semitica ed ellenistico-romana) e in quanto genera cultura». Il Libro bianco Teaching and Learning della Commissione europea invece, affermava negli ormai lontani anni ’90 del secolo scorso: «Lo scotto che una società paga quando dimentica il passato è la perdita di qualsiasi eredità comune di sostegni e punti di riferimento. Non sorprende che, non conoscendo la storia della civiltà europea, espressioni come “traversata del deserto”, “portare la propria croce”, “eureka!”, “il giudizio di Salomone” o “la torre di Babele” abbiano perso il loro significato». Interessante – e non casuale! – il fatto che quattro dei cinque esempi citati attingano proprio dal repertorio biblico. «La condizione dell’attuale cultura europea è di autodemolizione (un tentato suicidio che i più giudicano un atteggiamento “moderno”), poiché pretende di emanciparsi dalle radici sulle quali si fonda, quelle cristiane, fondate sulla Bibbia». Con queste parole iniziava anni orsono un corso teologico intitolato proprio Bibbia e cultura.. ma le cose stanno davvero così? In che modo l’accantonamento delle sue radici bibliche, da parte della cultura dominante, costituisce un “suicidio”? E in che senso? Il compianto Umberto Eco dal canto suo, da semiologo, filosofo, massmediologo ed esperto medievista – lui che alla cultura ha dedicato praticamente l’intera vita – , nel suo celebre Pape Satàn Aleppe. Cronache di una società liquida, titolo che richiama un verso dantesco del VII canto dell’Inferno, tocca diversi punti interessanti circa il binomio Bibbia e cultura. Questionando sulle radici dell’Europa afferma che «Ogni cultura assimila elementi di culture vicine o lontane, ma poi si caratterizza per il modo in cui li fa propri.. – e prosegue – Il cristianesimo ha inglobato, spesso con molta disinvoltura, riti e miti pagani e forme di politeismo che sopravvivono nella religiosità popolare», per poi sentenziare: «non è concepibile una tradizione cristiana senza il monoteismo giudaico. Il testo su cui la cultura Europea si è fondata, il primo testo che il primo stampatore (Johannes Gutenberg, ndr) ha pensato di stampare, il testo traducendo il quale Lutero ha praticamente fondato la lingua tedesca, il testo principe del mondo protestante, è la Bibbia. L’Europa cristiana è nata e cresciuta cantando i salmi, recitando i profeti, meditando su Giobbe o su Abramo. Il monoteismo ebraico è stato anzi il solo collante che ha permesso un dialogo tra monoteismo cristiano e monoteismo musulmano». Beh, direi che di carne al fuoco per riflettere ce n’è fin troppa. Un altro filosofo, Enrico Manera, pone tuttavia in evidenza il fatto che la cultura non è una realtà rigida e definita: «Al contrario risulta dinamica, fluida, mutevole all’interno di rapporti di continuità e negoziazione..». «Dire “la nostra identità” (o “la nostra cultura”) – fa notare a questo punto lo storico Carlo Greppi nel suo libro Si stava meglio quando si stava peggio – è una semplificazione.. niente affatto giustificata: è un’operazione, non sempre consapevole, che vuole circoscrivere un territorio, marcarlo, come un cane che alza la (zampa) per dire: “Qui ci sono io”». Riepilogando: la cultura non è qualcosa di granitico e definito una volta per tutte, ma figlia del tempo, tra l’altro cronologicamente scandito ormai dall’intero pianeta, a partire da quell’anno “0” in cui nacque Gesù di Nazareth. Tempo, ancora, la cui scansione (almeno occidentale) è caratterizzata da innumerevoli calendari, dal latino calènde, che traduce a sua volta il greco kalèin, “chiamare”, o, per alcuni, il sanscrito kàla, “tempo”, e anta, “termine, limite”. Le calènde rimandano all’uso presso i Romani di convocare il popolo il primo giorno del mese, per indire feste, giochi, e giorni fasti e nefasti del mese stesso. Siccome i Greci non avevano le calènde, nacque l’espressione “alle calende greche”, cioè “mai, in nessun tempo”. Ognuno di noi ha diversi calendari cui fare riferimento: quello civile (creato nel 1582 da papa Gregorio XIII, che va dall’1 gennaio al 31 dicembre), quello lavorativo (con ben evidenziati i periodi di ferie e di riposo), quello scolastico, contributivo (con le varie scadenze e relativi rischi sanzioni), per non parlare di quello sportivo (calcistico, soprattutto in Paesi come l’Italia, in cui ormai si gioca una gara ogni giorno!), e via dicendo.. ma il calendario che più scandisce la nostra vita, che siamo credenti, agnostici o atei, che ci piaccia o no, che ne siamo consci o meno, è quello liturgico: è quest’ultimo a farci stare a casa ogni domenica, a chiudere la scuola per Natale, Pasqua e le varie “feste comandate”. Insomma, anche chi non è credente beneficia e vive secondo tale calendario, senza considerare che l’8 dicembre, solo per fare un esempio, non andrà a lavorare o a scuola perché.. Maria è stata concepita senza peccato originale! Ah.. La Bibbia può essere inoltre considerata il libro dei record, al punto che dal 2001 è stata inserita nell’elenco delle memorie del mondo, quel programma dell’UNESCO volto a individuare e tutelare archivi e documenti storici come testi, spartiti, immagini, filmati, ecc.. L’idea di fondo è che il patrimonio documentario del mondo, appartenendo all’umanità intera, dovrebbe essere accessibile a tutti e senza ostacoli. Uno dei mezzi utilizzati a tal scopo è il Registro della Memoria del Mondo, che contiene oltre 350 beni, 7 dei quali relativi all’Italia: la Biblioteca Malatestiana di Cesena, l’Archivio Storico Diocesano di Lucca e altri ancora. Tornando alla Bibbia, con 2200 traduzioni parziali e 400 complete è insomma il libro più tradotto al mondo, e pure in svariati dialetti. Chi sul far del tramonto ha avuto un’idea davvero bella e originale è ad esempio il 78enne piacentino Luigi Zuccheri, che il 30 maggio 2021 ha donato a papa Francesco una copia della Sacra Scrittura da lui tradotta nel proprio dialetto, il piasintein. Si tratta di un lavoro monumentale e certosino costato al pensionato diversi anni di lavoro e quattromila pagine. Le parole che il pontefice, evidentemente colpito da tanta dedizione, ha rivolto agli astanti per l’occasione sono state infatti: «Mi diceva che leggeva, pregava e traduceva. Io vorrei ringraziare questo gesto e anche un’altra volta dirvi di leggere la Bibbia, di leggere la Parola di Dio per trovare lì la forza della nostra vita». La giornalista del quotidiano Avvenire Barbara Sartori, così si espresse a riguardo: «Un lavoro durato otto anni, scrivendo a mano su fogli di recupero: lettere, referti, risultati degli esami clinici da un lato, versetti biblici dall’altro». Lui che, assetato di conoscenza, la Bibbia l’aveva iniziata a leggere cinquantotto anni prima, momento in cui aprì l’edizione popolare voluta da Giovanni XXIII (che al tempo costava mille lire), disse che “gli si era aperto un mondo”. Come facciamo a non chiederci chi glielo ha fatto fare?! Andato in pensione dopo 38 anni di servizio passati al Comune del piccolo paesino di Alseno, (Zuccheri) ha pensato bene di addentrarsi nel mondo biblico: «A ogni frase – afferma Luigi – mi soffermavo, per tradurla al meglio: ero costretto a farla mia, ci pensavo su anche diversi giorni. Quei momenti di scrittura, senza darmi un calendario o scadenze, erano fonte di serenità». La domanda seguente è come gli venne in mente di pubblicarla, ma l’idea non fu sua, bensì di un imprenditore: «Mi chiese come passavo il tempo da pensionato. “Scribacchio”, ho risposto. Quando gli ho spiegato che stavo traducendo la Bibbia in dialetto è rimasto così entusiasta che mi ha proposto di far esaminare il lavoro da un editore e ne ha promosso la stampa». È così che hanno visto la luce i dieci volumi per un totale di soli trenta esemplari, elegantemente rilegati, che conservano la scrittura a mano dell’autore: che spettacolo! Boris Pasternak, l’autore del Dottor Zivago, diceva che «la Bibbia non è un libro con un testo rigido, quanto piuttosto il diario dell’umanità e così è tutto ciò che è eterno.. e ciò che è eterno è vivo non quando è fissato una volta per tutte, ma quando si arricchisce di tutte le rassomiglianze che possono scoprire in esso i secoli successivi». È su queste basi che è iniziata la presente rubrica di Pregaudio intitolata In effetti, ed è su questi presupposti che il filologo e critico letterario Piero Boitani ha dato alle stampe il piccolo capolavoro Rifare la Bibbia. Ri-Scritture letterarie. L’autore motiva la sua impresa affermando che si tratta di «una sfida all’intelligenza e alla sensibilità, perché la Bibbia (quella ebraica, ma anche quella cristiana) è provocante quanto nessun altro testo salvo forse il Corano che da essa tanto assorbe e ri-scrive». Ma come gli è saltato in mente di ri-scriverla, e poi, in che modo? La motivazione la riporta lui stesso nella quarta di copertina: «La Bibbia non è solo “il” libro della religione ebraica e cristiana; è anche uno sterminato magazzino di storie e immagini che hanno influenzato nel profondo l’arte occidentale. Poeti, romanzieri, pittori vi hanno regolarmente attinto rendendo spesso il loro lavoro, consapevoli o meno, un’eco, un riflesso di quelle storie, in breve una sorta di riscrittura delle Scritture.. Boitani rintraccia.. il riaffiorare della Parola in una pluralità di autori lontani e diversi, da Dante a Saramago, da Shakespeare a Faulkner, da Milton a Thomas Mann». L’autore però pone le ragioni della sua “trovata” nella Bibbia stessa, dato che l’opera di ri-scrittura ha luogo anzitutto già nel testo sacro: «Genesi ri-scrive Genesi, e Giovanni ri-scrive Genesi, e tutto il Nuovo Testamento ri-scrive il Vecchio (usando qui un’espressione infelice, meglio infatti usare Antico o, ancor meglio, Primo, ndr) con l’intenzione di compierlo. – e aggiunge – Non esistono forse due versioni della Creazione.. Il Prologo del quarto Vangelo non riprende dalla Genesi stessa il resoconto dell’Inizio, traducendo.. logos con archè?». «Le Scritture – diceva infatti il filosofo Giambattista Vico nel suo Diritto Universale – rappresentano un modello di evoluzione scocioculturale della civiltà». È proprio così, senza parlare poi della moltitudine di Apocrifi scritti e ri-scritti lungo i secoli. «La nostra poesia, il nostro teatro e la nostra narrativa – aggiunge il biblista gesuita Jean-Pierre Sonnet in La Bibbia e la letteratura dell’Occidente – sarebbero irriconoscibili se omettessimo la presenza continua della Bibbia.. Quale voce unica può rendere conto dell’utilizzo di Acab e di Giona fatto in Moby Dick, del riuso dei personaggi biblici e delle epistole nella Divina Commedia di Dante, e della narrazione massicciamente amplificata del mondo dei Patriarchi nella tetralogia che Thomas Mann ha dedicato a Giuseppe? – e prosegue – ..Proust, come noi lo conosciamo, non esisterebbe senza Sodoma e Gomorra. Non ci sarebbe neppure Kafka senza le tavole della Legge». Tornando alla Sacra Scrittura come primatista di record, aggiungiamo che non è solo il libro più tradotto, ma anche quello più diffuso, con oltre 50 milioni di copie vendute (!?) all’anno; solo in Italia si stima una vendita che va dalle 150 alle 200mila. Il già citato teologo e giornalista francese Éric Denimal da anni collabora con la collana For Dummies, letteralmente “Per negati”, il cui scopo è la divulgazione attraverso manuali di facile consultazione. Della collana fa parte anche La Bibbia per tutti, opera davvero concreta e accessibile, in cui viene sottolineato ad esempio che «..nella laicissima Norvegia il libro più venduto nel 2012 è stato proprio la Bibbia, scalzando in classifica tutti i romanzi di grido! Se percepisse i diritti d’autore (!!!), Dio sarebbe il più ricco autore di best-seller.. – e continua – è indubbiamente il libro che è arrivato più lontano, spingendosi oltre i confini della Terra, nello spazio, fino a toccare il suolo lunare! Una sua versione su microfilm viaggiò, infatti, insieme all’equipaggio della missione Apollo 14 e, in seguito, con quello dell’Apollo 17. Il documento, delle dimensioni di un francobollo, conteneva tutte le pagine della Bibbia, dalla prima all’ultima!». «Chi apre la Bibbia per la prima volta – è ancora il teologo francese a parlare – si accorge immediatamente di trovarsi di fronte a un libro diverso dagli altri.. In primo luogo, noterà la qualità della carta.. leggera e sottilissima.. (si tratta di una) necessità: il numero di pagine.. infatti, è talmente imponente che senza la carta bibbia (questo è il nome con cui è conosciuta la carta India, quella sottilissima, a grammatura più bassa) il libro sarebbe voluminoso quanto un’enciclopedia». Denimal fa notare poi quante parole caratterizzino il nostro quotidiano, forse senza che ce ne rendiamo neppure conto: alleluia!, oggi scherzosamente utilizzato per dire “finalmente, era ora!”; Calvario, come sinonimo di sofferenza; capro espiatorio che, citando il libro del Levitico (16,21-22), sottintende chi sconta colpe altrui; carismatico, cioè chi esercita fascino, derivante dal greco charisma, “dono di grazia”; e poi ancora talento, che chiama in causa l’antica moneta per indicare chi ha una dote innata. Quante espressioni bibliche, inoltre, abbiamo continuamente sulla bocca senza farci caso? Aspettare la manna dal cielo, per indicare l’attesa senza sforzo; dare il bacio di Giuda, essere cioè un traditore; mentre a sottolineare l’importanza dell’amicizia ecco scomodare il libro del Siracide: chi trova un amico trova un tesoro (cfr. 6,14); se poi vogliamo intendere che una cosa durerà poco, beh, sarà da Natale a Santo Stefano; e chi non si fida? Ovviamente è come san Tommaso! Chi poi “se ne frega” e non si schiera, emula Pilato, il quale se n’è lavato le mani (cfr. Mt 27,24); e quando qualcosa dura troppo, o una persona è lenta? È lungo come la Quaresima, o come il Sabato Santo, a indicare la smania d’attesa nella risurrezione. Chi sbaglia recita il Mea culpa, citando il Salmo 51; e chi nega l’evidenza, non si nasconde forse dietro una foglia di fico? (cfr. Gn 3,7); ognuno di noi avrà sperimentato l’amara esperienza di non essere apprezzato e valorizzato proprio là dove è nato e cresciuto.. perché nessuno è profeta in patria, come recitano i Vangeli; e quando non attendiamo alcuna novità, non prendiamo a prestito le parole del Qoèlet: Niente di nuovo sotto il sole? (1,9); chi ha molta pazienza, non è forse come Giobbe? E quando siamo nella crisi o nell’abbondanza, non siamo in un periodo di vacche magre o grasse, richiamando il sogno profetico di Giuseppe “il sognatore”? (Gn 41); non è facile perdonare, tanto meno porgere l’altra guancia.. (cfr. Mt 5,39). E l’elenco potrebbe davvero non finire mai. Uno dei cori più celebri della storia dell’opera è senza dubbio il Va, pensiero, che compare nella terza parte del Nabucco: musicato da Giuseppe Verdi sulle parole di Temistocle Solera, ripercorre la storia degli esuli ebrei a Babilonia e si ispira al Salmo 137(136), «Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre..». A suo tempo fu inteso come metafora della sperata liberazione dal governo austriaco, per diventare poi simbolo del Risorgimento, ma forse in pochi sanno che fu anche proposto come inno nazionale italiano. E se quella proposta fosse andata in porto? Se al posto del Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli o Fratelli d’Italia, ci trovassimo oggi a cantare Va, pensiero, magari ritti sul divano con la mano destra appoggiata al cuore e, nell’attesa che cominci la partita della Nazionale, invece di urlare a squarciagola «Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte» gridassimo «Del Giordano le rive saluta, di Sionne (cioè Gerusalemme) le torri atterrate, O, mia patria, sì bella e perduta! O, membranza, sì cara e fatal!»? Insomma, per poco l’inno del nostro Paese, da che mondo è mondo un componimento poetico capace di esaltare valori ideali, politici e religiosi, ha rischiato di basarsi sulla Bibbia, e ognuno di noi di sentirsi un esule ebreo desideroso di tornare in patria, letteralmente la “terra dei padri”. Chissà.. La Sacra Scrittura, ovviamente, è anche stata soggetta a critiche di ogni tipo: «Voltaire, che della Bibbia è un attento lettore – scrive nuovamente Denimal – , non cessa di prendere in giro gli scrittori che a essa rimandano, come del resto fanno i “maledetti” Baudelaire e Rimbaud che, oltre al ridicolo e al disprezzo, aggiungono lo spergiuro e la bestemmia. E ancora Jacques Prévert (poeta e sceneggiatore francese, ndr) prega: “Padre nostro, che sei nei cieli.. restaci!”. Denigratorio, sia nei confronti della Bibbia sia dei suoi insegnamenti, pare anche l’orientamento dell’attuale panorama letterario..». Il teologo francese ricorda inoltre che l’Italia degli anni ’70 scelse come testimonial pubblicitario qualcuno di veramente eccezionale: Dio. E di questa scelta è arrivata l’eco fino ai giorni nostri. Si pensi, solo per fare un esempio, al fatto che una nota marca di caffè abbia scomodato l’intero paradiso per pubblicizzarlo! «La pubblicità.. (infatti, è) Come Dio.. onnipresente. Sa tutto di noi, ci conosce, sa dove trovarci e come prenderci.. cerca di.. tradurre in immagini i desideri e i sogni di tutti, è uno specchio. Il suo linguaggio (come quello religioso, ndr) è simbolico.. – e conclude – se il “creativo” (alludendo ai pubblicitari, ndr) pesca nei simboli religiosi, è perché è convinto che questi siano ancora ben vivi e radicati!». Vivi e radicati, aggiungiamo noi, perché umani. Ma Gesù stesso sarebbe considerato oggi un pubblicitario coi fiocchi, tanti e tali sono gli slogan da lui sfornati e che utilizziamo ancora: «L’albero si riconosce dai frutti» (cfr. Mt 7,17-20); «Chi cerca trova» (Mt 7,8); «Chi di spada ferisce di spada perisce» (cfr. Mt 26,52); «Chi è senza peccato scagli la prima pietra» (cfr. Gv 8,7); «Chi ha orecchi per intendere intenda» (cfr. Mt 11,15; cfr. Mc 4,23); «Chi non è con me è contro di me» (Mt 12,30); «Non date le vostre perle ai porci» (cfr. Mt 7,6); «Rendete a Cesare quel che è di Cesare..» (Lc 20,25); «Lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mc 14,38); «Vade retro, Satana» (Mt 16,23); e l’elenco, anche in questo caso, potrebbe andare avanti a lungo. Quanto alla «suddivisione in capitoli – prosegue Denimal – fu operata anche allo scopo di agevolare il reperimento di singoli passi biblici da leggere, durante i pasti, nei refettori dei conventi e dei monasteri. Per un religioso era un onore poter leggere ad alta voce un passo biblico mentre i confratelli o le consorelle mangiavano in religioso silenzio. Ed era considerato un castigo essere privati di tale possibilità. Probabilmente è questa l’origine dell’espressione “(non) avere voce in capitolo”!». Voce in capitolo che in passato era veicolata anche dalla trasmissione orale, la quale garantiva il passaggio del sapere tra le varie generazioni e andava a formare un popolo e la sua cultura: fissare la storia e farne continuamente memoria costituiva insomma un valore in vista del futuro. E oggi, come stanno le cose? Torniamo nuovamente a quanto la Sacra Scrittura incida carsicamente nella vita di tutti i giorni, a partire dalla maggior parte dei nostri nomi, quasi tutti di provenienza biblica, cominciando dagli espliciti Cristiano (che traduce “di Cristo”), Cristoforo (“portatore di Cristo”) e Salvatore, ma nei paesi ispanici non si fanno problemi a chiamarsi Jesús, anzi, è quel che si risponde quando qualcuno starnutisce. Come mai? Se in Italia diciamo “salute!”, augurando in tal modo quella fisica, in Spagna l’augurio è rivolto al bene totale della persona, anima compresa: Gesù significa infatti “Dio salva”, “YHWH (è) salvezza”. Ma guarda un po’.. Consideriamo poi tutti i nomi teoforici (che contengono cioè, o esprimono, il concetto di Dio) come Emanuele (“Dio è con noi”) o Daniele (“Dio è il mio giudice”), o addirittura legati agli angeli (Angelo e Angela), agli arcangeli (Michele, “Chi è come Dio”; Raffaele, “Dio è salvezza”; Gabriele, “forza di Dio”) e ai serafini (Serafino o Serafina), oppure composti da due celebri nomi sempre tratti dalla Scrittura: Gianpaolo (Giovanni + Paolo), Pierpaolo (Pietro + Paolo), Gianmaria (Giovanni + Maria). Se in passato l’onomastico aveva ben altro valore, e un nome veniva dato in base al giorno liturgico (di cui Natale e Pasquale sono gli esempi più noti) o del santo in cui si nasceva, oggi tale criterio si è indebolito, essendo la società sempre meno vincolata alla tradizione cristiana e sempre più alla moda, che, ricordiamolo, cambia molto velocemente, a tratti troppo. Eppure i nomi più gettonati resistono, probabilmente senza ormai conoscerne l’origine biblica. Senza contare che la già citata Spagna, assieme alla Francia e all’Italia, conserva ancora un numero straordinario di agiotoponimi, ovvero nomi di luoghi che derivano dai santi. Se con ogni probabilità non chiameremo un figlio Lazzaro, certamente continueremo ad utilizzare il termine lazzaretto, che da lui è nato, intendendo con esso l’ospedale dove in passato venivano ricoverati i lebbrosi e gli appestati. A proposito, «molto prima che se ne occupasse lo Stato o la pubblica amministrazione – è sempre Éric Denimal a evidenziarlo – gli ospedali, gli orfanotrofi e i ricoveri per disabili, anziani e pazienti psichiatrici sono sorti come opere caritative o umanitarie istituite da religiosi». E ancora.. certo non sapremo dove né cosa siano Sodoma e Gomorra (eccezion fatta per in brand che va dal libro di Saviano alla serie TV), ma utilizzeremo il termine sodomia; senza abbandonare espressioni quali “braccio destro” (indicando con esso una persona fidata) e “maldestro” (intendendo al contrario un mancino), senza renderci conto che derivano dalla concezione simbolica che la Bibbia dà della destra e della sinistra: se la prima è il lato positivo, quello buono, la seconda è al contrario quello negativo, malvagio, a tratti demoniaco (non a caso la sinistra è la mano del diavolo), tanto da farci dire che una persona sospetta è un tipo “sinistro”. «Se il cattolicesimo in Italia vive fasi alterne – chiosa il pluricitato teologo francese – , in Europa, Africa, Asia e nel resto del mondo il Cristianesimo risorge sotto altre forme, sempre alimentato dalla Bibbia, che trascende le culture.. – e aggiunge – il tempo non intacca l’eternità! Il messaggio della Bibbia non si lascia intimidire dal tempo che passa e in ogni epoca trova le sue modalità di espressione. Certo, c’è una certa differenza tra le vetrate istoriate delle chiese di ieri e il cinema di oggi ma, intanto, la Bibbia si sarà già spostata a un altro mezzo espressivo. Chi ha orecchi per intendere intenda; chi ha occhi per vedere, veda!». Chiudiamo allora con le parole di Piero Boitani: «Ri-scrivere Dio e l’uomo è il compito che ogni Autore (con la A maiuscola, ndr), o autore (con la minuscola, ndr), si prefigge.. Al centro di queste (pagine), come al centro della Bibbia, si trova il problema del riconoscimento di Dio, che si apre con Abramo e non si chiude più. Dio non può essere conosciuto, ma soltanto, se mai, ri-conosciuto, e ogni Scrittura non può quindi che presentarsi come ri-Scrittura.. (perché) Ri-scrivere vuol dire fare la Storia, costruire città, percorrere il tempo con una doppia leggenda, un affresco, una chiesa».
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Cristian Messina