Solo un libro di libri? (Bibbia e laicità)



Testo della catechesi
«La Bibbia non è solo “il” libro della religione ebraica e cristiana – si legge nella seconda di copertina del libro Rifare la Bibbia, del docente universitario di Letterature comparate Piero Boitani - ; è anche uno sterminato magazzino di storie e immagini che hanno influenzato nel profondo l’arte occidentale. Poeti, romanzieri, pittori vi hanno regolarmente attinto rendendo spesso il loro lavoro, consapevoli o meno, un’eco, un riflesso di quelle storie, in breve una sorta di riscrittura delle Scritture». Alla luce della sua riflessione possiamo dunque chiederci: se tanti sono stati e sono tuttora coloro che hanno attinto dalla Bibbia, credenti o meno, è possibile una sua lettura laica?

La risposta necessita di un previo quanto opportuno chiarimento: cosa si intende per “laica”? 

Se lo chiediamo a La Treccani, ci dice anzitutto che làico deriva etimologicamente dal tardo latino laicus, a sua volta dal greco λαϊκός, “del popolo, profano”, derivante da di λαός, “popolo”.  Passa quindi in rassegna i diversi significati che il termine può assumere: «Chi non appartiene allo stato ecclesiastico; nella Chiesa cattolica, ogni persona battezzata che non ha alcun grado nella gerarchia ecclesiastica (contrapposto a chierico)»; quindi «Religioso non sacerdote», ma in questo caso ci permettiamo addirittura di fare le pulci alla più nota delle enciclopedie italiane (a suo modo, sorta di “Bibbia del sapere”), preferendo al termine sacerdote quello di presbitero; evidenzia poi come l’aggettivo possa assumere tre sfumature: chi non appartiene al clero, chi si astiene da ogni forma di dogmatismo ideologico e, come sostantivo, «chi si dichiara indipendente da ogni forma di dogmatismo confessionale»; sottolinea quindi come, in politica, l’aggettivo possa riferirsi a ciò che si distanzia «da dogmatismi ideologici di qualsiasi genere»; infine precisa che anticamente era definita laica la persona illetterata, in opposizione ai chierici.. tempi davvero lontanissimi dalla realtà attuale.

Molto interessante e degna di nota è, in questa sede, la pubblicazione di una traduzione italiana della Bibbia dell’editore Einaudi, che finora aveva stranamente pubblicato solo una traduzione dei Vangeli apocrifi. La casa editrice, notoriamente laica, ha quindi optato nel 2021 per un’opera volutamente interconfessionale con una particolare attenzione al lettore laico: dodici esegeti (tra i quali Luca Mazzinghi, Romano Penna, Donatella Scaiola e Ludwig Monti, solo per citare i più noti) che, sotto la direzione di Enzo Bianchi, hanno cercato di «rendere accessibile il testo biblico al lettore odierno, ma senza omogeneizzare le sue asperità linguistiche, culturali e teologiche». Iniziativa più che lodevole, anzi, necessaria. Nella prefazione, il fondatore della comunità di Bose scrive: «Ci sono letture diverse nella fede ebraica, letture diverse nella fede cristiana, letture diverse di chi non è credente né in Dio, né in Gesù Cristo e legge la Bibbia come “il grande codice”.. della cultura occidentale soprattutto, ma non solo! Per il non ebreo e il non cristiano la Bibbia non contiene “la parola di Dio”, ma resta una testimonianza scritta del pensiero umano che si esprime imputando al soggetto “Dio” parole e azioni che hanno un significato alto per l’umanità». 

Tornando alla prima domanda, circa la possibilità di una lettura laica del testo sacro di ebrei e cristiani, chi vi ha dato risposta è Mario Alighiero Manacorda (1914-2013), che tra i vari incarichi ricoperti è stato docente di Storia dell’educazione in molte Università italiane, oltre che Membro del Collegio dei Garanti della Consulta Romana per la Laicità delle Istituzioni, ruolo altisonante che la dice lunga sulla sua posizione. Ebbene, il pedagogista si è cimentato in un delizioso libro dal titolo che fa al caso nostro: Lettura laica della Bibbia.  Il Manacorda, rivolgendosi al lettore, così esordisce: «(della Bibbia) ne indago le insostenibili parole. Lo faccio in nome del Talmud, che parla di molteplici sensi delle scritture (letterale, morale, allegorico, anagogico), arrivati fino a Dante». 

Quello che dagli anni ’80 è diventato un libro, in realtà nacque dalla corrispondenza epistolare tra lui e un’amica giapponese, Yúkiko, a cui tentò di spiegare quell’Occidente che, partendo proprio dalla Sacra Scrittura, all’interlocutrice  asiatica appariva così assurdo. Al medesimo lettore destinatario del testo, riferendosi alle loro numerose lettere, scrive: «Ti stupirai forse per la loro apparente pretesa di dare una risposta alle grandi domande di milioni di uomini.. Ma è solo l’umano desiderio di dare alle nostre personali domande una nostra personale risposta». 

Ad ogni modo il loro interessante carteggio – che va dal primo giugno 1987 al 15 ottobre 1988 (dieci anni esatti prima che nascesse il Punto Giovane!) – ha un incipit strepitoso: «Caro Mario – scrive Yúkiko – , forse tu puoi svelarmi il mistero dell’anima occidentale.. Siamo tutti esseri umani, e niente ci fa diversi, se non la nostra storia. Oggi, poi, ci stiamo sempre più avvicinando gli uni agli altri, eppure certe diversità rimangono, e sono proprio quelle che non riesco a spiegarmi». E prosegue: «Voi, presi in blocco, mi sembrate insieme scientifici e magici, logici e mistici, scettici e superstiziosi. Come si può essere le due cose insieme?». Già, aggiungiamo noi, com’è possibile? Lasciamo per un attimo ancora la parola all’amica giapponese, capace in questa missiva di cogliere davvero il lato più interessante e, allo stesso tempo, paradossale dell’Occidente: «..forse tutto si riduce.. (al fatto) che siete, come tu mi dicevi una volta, “liturgici”? Cioè, non credete veramente, ma fate finta di credere, e rispettate formalità e consuetudini. Vi battezzate, vi cresimate, vi comunicate e vi sposate in chiesa, e in chiesa vi fate benedire dopo morti, e vi fate seppellire in un “camposanto”? Poi portate al collo le vostre collanine d’oro con l’immagine della madonna, e magari vi fate il segno della croce prima di tuffarvi in acqua o passando davanti a un’immagine religiosa; e insegnate religione a scuola, invitate i preti tra le autorità dello Stato, ma poi vivete tranquillamente come persone che hanno in mente tutt’altre cose: spassi, sesso e violenze, e anche una scienza del tutto laica.. – e conclude – Non mi scandalizzo per come vivete, ma non capisco questa separazione tra modo di pensare e modo di vivere». Che dire.. certo stiamo parlando del 1987, ma i tasti toccati da Yúkiko sono cruciali, dolorosissimo sale sulle nostre ferite! Ma l’interlocutrice giapponese va oltre quando afferma, riferendosi all’intera vicenda cristiana: «Mi sembra un insieme di cose totalmente senza fondamento. O meglio: so che il loro fondamento è nell’essere in parte scritte nella Bibbia.. (la quale, se) è parola di dio, non avrebbe dovuto essere più chiara, per poter essere capita subito da tutti? Invece, per interpretarla e imporre agli altri la propria interpretazione, si è non solo discusso, ma anche sparso sangue di cristiani e non cristiani per duemila anni. – e sentenzia – Se questo è il risultato della parola di dio, aggiunto al fatto che poi nessuno veramente la segue, non era meglio che dio fosse stato zitto?». Altro che sale sulle ferite, questi sono macigni, che tuttavia occorre rimuovere per arrivare al cuore del “grande codice”, come lo ha definito il critico letterario canadese Herman Northrop Frye (1912-1991), riferendosi al legame che c’è tra Bibbia e letteratura.  

All’incapacità della donna asiatica di comprendere tutto ciò, il Manacorda ribadisce: «Sì, cara Yúkiko, davvero insondabile è l’anima umana: ma, proprio per questo, perché rinunciare a sondarla? Proprio a sondarla ci invitano i suoi insondabili abissi: e tu stessa mi inviti». In queste parole c’è forse il senso del nostro occuparci del binomio testo sacro-mondo laico.. Ed è proprio tale interesse, apparentemente ingiustificato, che fa domandare al pedagogista romano cosa sia la Bibbia: «è per me la lettura più angosciosa che mi sia mai capitata: direi lettura impossibile. E questo per almeno due ragioni. La prima è che, pur con tante cose di enorme interesse storico e di grande bellezza letteraria, essa è un continuo, ossessivo racconto di violenze, incesti, inganni, anatemi e stermini, quanti non se ne trovano con tanta densità in alcun altra letteratura.. La seconda è che, come se non bastasse, tutta questa serie di sadiche invenzioni o realtà è attribuita in toto al buon dio, dando così a vedere che questo dio è proprio pensato a immagine e somiglianza dell’uomo. E di quale uomo! Collerico, geloso, vendicativo, sterminatore e, inoltre, araldo orgoglioso di tutte queste sue belle qualità». Al di là dei toni usati, c’è indubbiamente del vero in quanto Manacorda afferma, aspetti coi quali il credente maturo deve fare prima o poi i conti. Ciò che tuttavia l’autore non sopporta né accetta è però l’origine delle pagine bibliche: «quello che sarebbe un grandioso libro umano, denso di storia, ci viene imposto come un libro divino, denso di contraddizioni». La questione è tutta qui. Non solo, cercando di trovare il bandolo della matassa, lo storico dell’educazione prova a tenere insieme contraddizioni, lacune e doppioni del testo sacro, aspetti che, senza la fede, forse è davvero arduo far convivere. Passa allora, sempre attraverso lo scambio con l’amica giapponese, ai diversi modi in cui può essere letta la Bibbia, attingendo dal Talmud, il grande commento ebraico alla parola divina: il metodo letterale (in cui ci sono eventi storici da riconoscere per quello che furono in quel dato contesto), quello allegorico (che rimanda ad un senso altro, rispetto al precedente), il metodo morale (che invita, diciamo così, ad adeguarsi a quanto scritto), infine l’anagogico (o escatologico, che si occupa cioè delle “cose ultime” da sperare). Con questi diversi “occhi” passa dunque in rassegna gli eventi cruciali della Bibbia, rendendoli comprensibili alla sua interlocutrice, che tuttavia, da non occidentale, fatica a comprendere: la creazione, la caduta, il fratricidio, il male nel mondo, il diluvio, Babele, le vicende dei patriarchi e quelle del popolo eletto. 

Il libro si conclude con tre paragrafi, il terzultimo dei quali si intitola La Bibbia è finita, la storia continua, in cui il Manacorda evidenzia quanto «il segreto della nostra anima occidentale» risieda nel «nesso di tradizione e mutamento», poiché «la Bibbia ha detto tutto e il contrario di tutto», una complessità alla quale noi credenti spesso ci sottraiamo, ormai abituati ad un paradosso che l’autore non smette di sottolineare: «La forza di Roma come strumento storico per il trionfo dell’ideologia di Jahvé», paradosso che vede come «mistero della nostra anima occidentale!». Nel secondo Yúkiko concentra la sua maggior perplessità nel titolo stesso: Perché cercare fuori dell’uomo le ragioni dell’uomo?, ritenendo questa ricerca esterna «un ostacolo.. allo sviluppo di una umanità futura». Con Figli della stessa terra, vergato 15 ottobre ’88, si chiude l’impegnativo scambio epistolare. Interessante che il pedagogista romano, citando Plinio, dica che «dio è che l’uomo aiuti l’uomo», e in questo di certo non sbaglia: «Voi stessi date loro da mangiare!», risponde Gesù in tutti e tre i Vangeli sinottici, agli apostoli incapaci di trovare una soluzione per sfamare l’immensa folla nel noto brano della moltiplicazione di pani e pesci. Cosa dare cioè quando “le cose” non bastano? Dare noi stessi, risponde il Maestro. Alla luce di questo explicit del Manacorda, vien da chiedersi se davvero sia possibile una lettura “laica” della Bibbia.. Proviamo a lasciare la domanda in sospeso.     

Altra interessantissima iniziativa è poi stata quella del filosofo inglese Anthony Crayling che, nel 2011 ha scritto Il Buon Libro, dal sottotitolo Una Bibbia laica. A quale scopo? Intrecciando e fondendo alcune tra le più grandi opere letterarie di sempre, Crayling cerca di mostrare come saggi, filosofi, poeti e artisti orientali e occidentali, possano costituire una sorta di Bibbia laica, appunto, per gli uomini e le donne di oggi: «Caro lettore – scrive nell’incipit del suo testo – , si potrebbe considerare frutto di vanità offrire al genere umano un’opera come questa nella speranza che sia utile, perché la diversità di principi, idee e gusti tra le persone è davvero grande, come lo è la fissità delle nostre idee e la riluttanza a cambiarle». Come inizio, davvero niente male. L’autore vede insomma nel lascito dei sapienti di tutti i tempi, attraverso una miscellanea dei loro scritti, la possibilità di «Stabilire cos’è il bene e qual è il modo migliore per conoscerlo.. vera e fondamentale arte di vivere», ma precisa: «Qui.. lo scopo è diverso (rispetto a testi come la Bibbia, ndr): non esigere l’accettazione di alcun credo o l’obbedienza a degli ordini, non imporre obblighi e minacce di castigo, bensì aiutare e guidare, consigliare, informare, ammonire e consolare, e soprattutto sostenere la luce della mente e del cuore dell’uomo contro le ombre della vita». Parole belle, che ci lasciano tuttavia supporre che Crayling la Bibbia, quella “vera”, non l’abbia letta, o almeno non tutta. Come struttura dunque un’opera così presuntuosamente titanica? Anzitutto dividendola in 14 libri, dai nomi già indicativi del parallelismo che intende instaurare col testo biblico: Genesi, Saggezza, Parabole, Concordia, Lamentazioni, Consolazioni, I savi, Canti, Storie, Proverbi, Il Legislatore,  Atti, Epistole e Il bene. Il primo capitolo del primo libro inizia così: «Nel giardino c’è un albero.. Il suo frutto è la conoscenza, insegna al buon giardiniere come comprendere il mondo.. È stato con la caduta di un frutto da quest’albero che è venuta l’ispirazione per l’indagine sulla natura delle cose», incipit che mischia il Genesi biblico con la leggenda che vuole Isaac Newton colpito da una mela mentre è seduto sotto un albero, ipotizzando dall’accaduto l’esistenza di una “forza invisibile” che chiama “gravità”. Evidente passaggio dal sapere mitico-religioso a quello scientifico, sottolineando la presunta superiorità del secondo rispetto al primo: «Osa conoscere: questa è la massima della rivelazione», sono le parole con cui il primo capitolo dell’opera di Crayling si chiude. Sappiamo bene, tuttavia, che i due tipi di saperi – mitico-religioso e scientifico – sono complementari, non antitetici. Il Buon Libro, «costruito sulla base di più di un migliaio di testi scritti da diverse centinaia di autori, nonché di raccolte e tradizioni anonime», comprende autori che vanno da Aristotele a Bacone, da Buonarroti a Cicerone, da Darwin a Epicuro, passando per Eschilo ed Euripide, Goethe e Kant, Milton e Nietzsche, Omero, Petrarca e Schopenhauer, leggende ma anche tradizioni popolari e, ultimo ma non ultimo.. Crayling stesso! Del resto ce lo aveva anticipato lui stesso, dichiarando subito l’apparente vanità dell’opera. Sia come sia, questa si conclude col IX capitolo del libro intitolato Il bene: «Cerca sempre il bene che perdura; Non c’è niente come la mente in grado di trovarlo in se stessa.. – per poi chiedersi – Quando raggiungerai questa gioia? – risposta – Essa arriverà quando inizierai a pensare con la tua testa, quando veramente ti assumerai la responsabilità della tua vita, quando ti unirai a tutti coloro che si sono posti come individui che cercano il vero e il giusto, e vivono di conseguenza: in questo nostro mondo umano, nel breve tempo di cui ciascuno dispone.. – e conclude – Aiutiamoci l’un l’altro, dunque; costruiamo insieme la città, dove potrebbe abitare il futuro migliore e sia finalmente realizzata la vera promessa dell’umanità». Quale? Non ci è dato saperlo. 

Scherzi a parte, è importante cogliere le provocazioni di questo explicit, e non sono poche; anzitutto: è la sola mente a dover e poter trovare il bene che perdura? Obiettivo dell’essere umano è appena quello di “pensare con la sua testa” (sottintendendo che il lettore della Bibbia “vera” non lo faccia)? Chi segue Gesù e il suo Vangelo non persegue forse «il vero e il giusto», cercando – con tutte le fatiche del caso – di «vivere di conseguenza»? Infine, in quell’«Aiutiamoci l’un l’altro» non c’è forse il succo dell’intero lascito del nazareno?   

Degno di nota, in relazione alla fruizione laica della Bibbia, ma non solo, è poi il dibattito sollevatosi nel 2024, che ha visto tra i protagonisti Ilaria Valenzi,  consulente legale della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), che si è inoltrata nelle criticità che gli studenti, e di riflesso le loro famiglie, incontrano nel rivendicare un’istruzione laica, abbozzando l’ipotesi di ripensare l’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC) a scuola. Al dibattito non si è sottratto il vescovo di Pinerolo Derio Olivero, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, anch’egli concorde nel ripensare la materia in chiave dialogica, ecumenica e interreligiosa. Nel suo saggio la Valenzi afferma: «Registriamo come spesso le situazioni di disagio si annidino in cattive abitudini degli istituti scolastici e prassi dure a morire: ritardi nell’erogazione dell’insegnamento della materia alternativa; carenza di insegnanti; stallo nella programmazione dell’orario delle lezioni; mancata individuazione di spazi adeguati ad ospitare gli studenti non avvalentisi.. – e prosegue – Queste ed altre questioni, tuttavia, non si limitano a descrivere la fatica del quotidiano, ma ci riportano al nodo centrale che necessita di essere affrontato con urgenza: l’individuazione del significato di un insegnamento confessionale in un’Italia sempre più plurale e le possibili strade alternative che siamo in grado di proporre». Precisa quindi come gli alunni senza cittadinanza italiana siano oggi quasi un milione, e che nell’anno scolastico 2022/23 oltre il 15% (1,1 milioni di studenti) non si sia avvalso dell’IRC. Mettendo da parte le differenze in merito (al nord, ad esempio, la percentuale di chi non si avvale della materia è nettamente più alto), la questione riguarda il come rimettere mano ad un tipo di insegnamento così cruciale, in un contesto molto diverso dal passato. Il rischio, infatti, è che in siffatto contesto pluralistico, temi quali la religione, la spiritualità e un primo approccio alla Bibbia vengano abbandonati del tutto. Il vescovo piemontese sottolinea come, a quarant’anni dalla revisione del Concordato, l’insegnamento della religione a scuola possa, anzi debba, essere ripensato. Come? La Chiesa Cattolica, afferma testualmente, dovrebbe fare un «passo indietro, rinunciando a uno spazio che le spetta di diritto in nome del Concordato, per aiutare la società a fare un passo avanti». Possibile immaginare un insegnamento scolastico non solo interconfessionale, ma addirittura interreligioso, superando tra l’altro l’equivoco della facoltatività? 

Lasciamo che a rispondere sia il teologo Brunetto Salvarani il quale, in un articolo intitolato Ripensare l’ora di religione del 9 ottobre dello stesso anno, stimolato dalla provocazione del vescovo pinerolese, scrive: «Si aprono, ora, diversi interrogativi.. “Come essere Chiesa in uscita nello spazio pubblico?”, si domanda – e ci domanda – don Derio. Si aprirà un dibattito al riguardo? Me l’auguro vivamente..». Cosa evidenzia, in primis, Salvarani? La reticenza già nel solo voler parlare dell’argomento, per «paura di perdere un privilegio acquisito da tempo, scarsa volontà di aprire un possibile contenzioso con lo Stato, sottovalutazione del calo progressivo di quanti aderiscono all’IRC, e si potrebbe continuare.. Una questione che, peraltro, s’intreccia con altre delle quali, pure, ben poco (e male) si ragiona: dal dramma cronico dell’analfabetismo religioso all’amara constatazione di quanto pesi sulla fragile identità cattolica dei nostri connazionali l’assenza della conoscenza della Bibbia nei circuiti culturali, e non solo in quelli.. Quella scuola che, del resto, permane l’unico ambito sociale in cui sono destinati a transitare prima o poi tutti gli italiani, in veste di discenti, docenti o genitori..». Ma è proprio il clima attuale, insomma, a rendere la materia in questione più che “incandescente e spinosissima”, ragion per cui «l’ambito scolastico sarebbe chiamato a un supplemento di responsabilità, pena il divenire lo spazio principe per strumentalizzazioni e banalizzazioni varie», su tutte i dibattiti in relazione alla presenza del presepe e del crocifisso a scuola, o all’utilizzo del velo all’interno della stessa. Ma l’oggetto che più ci riguarda in questa rubrica di Pregaudio è il tema biblico, al quale lo stesso Salvarani non intende certo sottrarsi: «Sarà impossibile.. – afferma – continuare a considerare il fatto religioso come un elemento puramente individualistico o folkloristico, privo d’influssi culturali, economici e sociali. Come ogni novità, un panorama simile potrà provocare paure e indurre a chiusure intellettuali, e lo sta facendo, ma altresì stimolare a un autentico salto di qualità, se sarà vissuta con la necessaria laicità (dato che una laicità aperta è il presupposto di ogni sano pluralismo).. “La Chiesa desidera entrare nella scuola” – scrive don Derio – “per contribuire non tanto a educare dei credenti, ma dei cittadini. Cittadini capaci di abitare questo tempo, plurale e post-secolare. Capaci di capire questo tempo e di impegnarsi a costruire una società in dialogo nelle differenze, in pace”. In tale prospettiva – prosegue Salvarani – , credo occorra muoversi nell’ottica di un sistema multireligioso in cui sia lo Stato, attraverso i suoi docenti, a educare alla cultura religiosa delle diverse fedi, ovviamente tenendo anche conto dell’incidenza preponderante della cultura cristiano cattolica nel nostro Paese, sul piano storico, sociale e antropologico. Un insegnamento di tutte le religioni, aconfessionale e destinato a tutte/i, senza alcuna facoltatività..». Quanto alla conoscenza laica in ambito scolastico di un testo sacro, cita «Amos Luzzatto, il grande intellettuale ebreo scomparso alcuni anni fa, (il quale) sosteneva che ogni bambino ha il diritto di leggere il Libro sacro degli altri bambini, “poiché fino a quando i cattolici leggeranno solo il vangelo, gli ebrei solo la Torà e i musulmani solo il Corano sarà impossibile realizzare una vera integrazione a scuola e nella società”». Inoltre, se la scuola ha come finalità, o almeno avrebbe, quella di formare la persona tutta intera, quest’ultima non si compone forse di tre sfere fondamentali quali il corpo, la mente e il “cuore”? Ora, assodato che la scuola attuale si preoccupa unicamente o quasi della seconda, se pensiamo che il corpo possa essere educato con appena due ore di Scienze Motorie, e il “cuore” con la discussa e discutibile ora di Religione, beh.. di strada da fare, a livello educativo, ne abbiamo davvero molta.. 

Le sollecitazioni sono tante e importanti, per cui proviamo a lasciarci con una sottolineatura che possa fungere da augurio, che il già citato Enzo Bianchi rivolge ai lettori della Bibbia edita da Einaudi: «le chiese oggi riconoscono che la Bibbia, pur contenendo la parola di Dio, è innanzitutto parola umana, che gli autori sono autori umani, e che la Bibbia è un testo che va interpretato rifuggendo ogni lettura fondamentalista. – e prosegue – Oggi possiamo dire che la Bibbia è la biblioteca che non divide, non separa, non apre a fondamentalismi, chiede l’affermazione della diversità, della pluralità e dunque del dialogo perché essa è strutturalmente dialogica!». Possa quindi questo tesoro dell’umanità rimettere in dialogo anche chi, per le ragioni più disparate, non riconosce in essa la voce di Dio, ma “solo” quella – e non è poco! – di autori che hanno a cuore ogni essere umano, presente, passato e futuro..   

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Libreria suoni di Logic Pro

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