La Parola di Dio che combatte l'avarizia (Ascolto "pneumaterapeutico" con sottofondo di Beethoven)



Testo della preghiera

Proverbi 18,11
I beni del ricco sono la sua roccaforte, sono come un'alta muraglia nella sua immaginazione.

Proverbi 28,22
L'avaro è impaziente di arricchire, ma non pensa che gli piomberà addosso la miseria.

Sapienza 8,5
Se la ricchezza è un bene desiderabile in vita, che cosa c'è di più ricco della sapienza, che opera tutto?

Siracide 14,3
A un uomo gretto non va bene la ricchezza, a che cosa servono gli averi a un uomo avaro?

Siracide 14,9
L'occhio dell'avaro non si accontenta della sua parte, una malvagia ingiustizia gli inaridisce l'anima.

Siracide 35,10
Glorifica il Signore con occhio contento, non essere avaro nelle primizie delle tue mani.

Geremia 9,22
Così dice il Signore:
«Non si vanti il sapiente della sua sapienza,
non si vanti il forte della sua forza,
non si vanti il ricco della sua ricchezza.

 Seconda lettera ai Corinzi 8,9
Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.

Lettera di Giacomo 1,11
Si leva il sole col suo ardore e fa seccare l'erba e il suo fiore cade, e la bellezza del suo aspetto svanisce. Così anche il ricco nelle sue imprese appassirà.

Lettera ai Filippesi 4,12-13 
So vivere nella povertà come so vivere nell'abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza.

Lettera agli Ebrei 13,5
La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: Non ti lascerò e non ti abbandonerò.

Prima lettera ai Corinzi 5,11
Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello ed è immorale o avaro o idolatra o maldicente o ubriacone o ladro: con questi tali non dovete neanche mangiare insieme.

Lettera agli Efesini 5,5
Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - cioè nessun idolatra - ha in eredità il regno di Cristo e di Dio.

Vangelo di Luca 12, 20-21
Ma Dio gli disse: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?». 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Recita
Vittoria Salvatori

Musica di sottofondo
L.v.Beethoven. Concerto per violino e orchestra in re Op.61.II Larghetto, II.Rondò (Allegro). Diritti Creative Commons. Musopen.org

Cos'è l'avarizia
Chi molto possiede soggiace alle preoccupazioni e, come il cane, è legato alla catena, e, se viene costretto ad andarsene, si porta dietro, come un grave peso e un'inutile afflizione, i ricordi delle sue ricchezze, è punto dalla tristezza e, quando ci pensa, soffre molto, ha perso le ricchezze e si tormenta nello scoramento. E se arriva la morte abbandona miseramente i suoi averi, rende l'anima, mentre l'occhio non tralascia gli affari; a malincuore viene trascinato via come uno schiavo fuggiasco, si separa dal corpo e non si separa dai suoi interessi: poiché la passione lo trattiene più di ciò che lo trascina via. Il mare non si riempie mai del tutto pur ricevendo la gran massa d'acqua dei fiumi, allo stesso modo il desiderio di ricchezze dell'avaro non è mai sazio, egli le raddoppia e subito desidera quadruplicarle e non cessa mai questo raddoppio, finché la morte non mette fine a tale interminabile premura. Il monaco assennato baderà alle necessità del corpo e sopperirà con pane e acqua allo stomaco indigente, non adulerà i ricchi per il piacere del ventre, né asservirà la sua libera mente a molti padroni: infatti le mani sono sempre sufficienti a servire il corpo e soddisfare le necessità naturali. Il monaco che non possiede nulla è un pugile che non può essere colpito in pieno e un corridore veloce che raggiunge rapidamente il premio dell'invito celeste. Il monaco ricco gioisce per i molti proventi, mentre quello che non ha nulla gode per i premi che gli vengono dalle cose ben riuscite. Il monaco avaro lavora duramente mentre quello che non possiede nulla usa il tempo per la preghiera e la lettura. Il monaco avaro riempie d'oro i penetrali, mentre quello che nulla possiede tesoreggia in cielo. Che sia maledetto colui che foggia l'idolo e lo nasconde, simile a colui che è affetto da avarizia: l'uno infatti si prostra di fronte al falso e all'inutile, l'altro porta in è l'immagine della ricchezza, come un simulacro.(Da Evagrio Pontico, Antirrhetikos.Gli otto Spiriti malvagi.Capitolo 8) 

Riflessioni e omelie
Luciano Manicardi, monaco di Bose 
[….] Il terzo pensiero evagriano è la filarghyría, ovvero l’avarizia, la brama di possesso di beni e denaro, e interpella il rapporto con le cose. La lotta esige qui l’ascesi (cioè, etimologicamente, l’esercizio) della condivisione e della rinuncia. È una lotta che restituisce l’uomo alla propria libertà, che è minacciata dall’illusione di fondare la propria vita su ciò che si possiede. Rischio frequente è che colui che si sente forte per il molto che ha è in realtà debolissimo perché schiavo di ciò che possiede. Nei tempi del “tutto e subito”, del “tutto dovuto”, dell’avere senza sforzo, è essenziale questa lotta per un’igiene umana e spirituale. Anche qui l’Eucaristia svolge un efficace magistero di gratuità presentando il dono di Dio in Cristo Gesù, dono non contraccambiabile da parte dell’uomo e che esige come risposta la gratitudine e la gratuità da viversi nel quotidiano dell’esistenza.
(Da "Lotta sprituale e maturazione affettiva")

Padre Stefano Zanolini 
Come il mare non è mai pieno, anche se raccoglie fiumi in quantità, così la bramosia dell’avaro non si sazia mai di ricchezze. Egli è sempre insoddisfatto perché trova sempre nel suo scrigno lo spazio per accogliere altri beni. È un infelice che mai sì “sazia” d’infelicità, perché come sono infinite le ricchezze del mondo che non possiede, così è infinita la sua insoddisfazione. E se è spinto in avanti dalla tensione verso nuove possibili ricchezze, al tempo stesso si barrica bene in difesa e con un bel catenaccio chiude il suo forziere, per non intaccare i beni che ha messo da parte. Povero avaro! Non possiamo pensare che dal piano dell’avere passi a quello dell’essere. L’essere, infatti, è costituzionalmente per l’altro, ha in sé il germe del dono; l’avere, invece, è chiusura davanti all’altro e idolatria del possesso. In «L’Avaro» di Molière, ne abbiamo un esempio straordinario quando Arpagone, l’avaro appunto, scopre il furto del suo tesoro: «Cielo! Di chi ci si può fidare? Non bisogna credere a niente e a nessuno! Un giorno forse anch’io ruberò a me stesso». Un giorno anch’io ruberò a me stesso! L’avaro dubita. Tristemente bisogna riconoscere che è proprio lui la prima vittima di se stesso e, pertanto, non dobbiamo meravigliarci se sospetterà anche dei conoscenti e dei famigliari, magari quando tratterà qualche questione in cui ci sarà da entrare in possesso di qualcosa. Ora, se la brama di possedere, in Arpagone, si mostra nella sua massima irrazionalità, nelle nostre esperienze di vita quotidiana si mostra in modo più “elegante”. Basta il possesso di una penna da quattro soldi, e se si è inclini all’avarizia: ci sarà il modo di dimostrarlo. Non la presteremo facilmente e, anche se lo faremo, la nostra piccola inquietudine si calmerà solo quando essa sarà tornata nel nostro astuccio. Delle controversie legate alle eredità e alle divisioni di lasciti, poi, è meglio tacere. Varie e diverse, infatti, sono le intensità dell’avarizia, ma tutte hanno in comune le stesse bassezze: smoderato desiderio di avere, puntigliosa mania di accumulare, spasmodica voglia di conservare, estasi nel contemplare il tesoro, autoreferenzialità. Il passaggio, poi, dalle singole nostre avarizie a quelle delle comunità, specialmente a quelle degli Stati, è breve e facile. Le guerre sono sempre figlie della smodata bramosia di possesso e le iniziative in politica internazionale mirano sempre a non perdere i privilegi e ad aumentare sempre più il raggio di influenza delle Nazioni su più parti possibili del globo, senza guardare all’uomo ma solo al fine che può richiedere anche la violenza. Non è questo modus operandi una struttura di peccato ormai radicata in gran parte della comunità internazionale che conta? Non è questa avarizia? E ancora: la crisi economica che tuttora patiamo non è forse figlia di avarizia? Urge allora una continua vigilanza per non cadere nelle mani dell’avere. Dice il Signore: «Non potete servire Dio e la ricchezza» (Lc 16,13).
(Dalla rubrica «Liberi da…» - Emmaus, n 13 - 2011)

S.Gregorio di Nissa
[…]
La povertà di spirito è la povertà di vizi.
Che cosa è dunque la povertà di spirito che permette di impadronirsi del regno dei cieli? Nella Scrittura abbiamo imparato due generi di ricchezza; una è ricercata con sollecitudine, l'altra è condannata. è ricercata la ricchezza della virtù, rigettata quella materiale terrena, poiché una è possesso dell'anima, l'altra, al contrario, è conforme all'inganno dei beni sensibili. Perciò il Signore vieta di accumulare quel tipo di tesoro che giace esposto al pasto delle tarme e all'insidia dei ladri [Mt 6,19]. Egli ordina invece di avere sollecitudine per la ricchezza di quei beni superiori che la corruzione non può intaccare. Parlando di tarme e di ladro Egli indicò colui che rovina i tesori dell'anima. Se dunque si oppongono la povertà e la ricchezza, certamente, secondo l'analogia, anche la povertà che è insegnata nella Scrittura è doppia. L'una è da rigettare, l'altra è da stimarsi beata. Colui che è povero di temperanza, o del prezioso bene della giustizia, o della sapienza, o della prudenza, o di qualsiasi altro tesoro prezioso, risulta povero e privo di beni, mendico, afflitto per la privazione e da compassionare per la povertà di beni preziosi. Colui che, al contrario, è povero volontariamente di tutto ciò che viene pensato come male e non tiene nessun tesoro diabolico custodito nei suoi magazzini, ma vivendo di spirito si guadagna, grazie ad esso, il tesoro della povertà dei vizi, questo dovrebbe trovarsi in quella povertà beata indicata dal Logos, il cui frutto è il regno dei cieli.
[…]
La povertà beata è anche la povertà materiale.
Non rigettare, fratello, anche l'altro discorso, relativo alla povertà che ci avvicina alla ricchezza celeste. "Vendi tutti i tuoi beni -dice il Signore- dalli ai poveri, poi seguimi e avrai un tesoro nei cieli" [Mt 19,27]. Simile povertà, in effetti, non mi sembra in disaccordo con quella che è ritenuta beata. "Guarda tutto ciò che avevamo; abbandonatolo ti abbiamo seguito! -dice il discepolo al Signore- che cosa dunque ci sarà per noi?". Qual è la risposta? "Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli". Vuoi comprendere chi sia il povero di spirito? è colui che ha fatto il cambio del benessere materiale con la ricchezza celeste, colui che si scuote di dosso la ricchezza terrestre come un peso, per essere trasportato in alto nell'aria, come dice l'Apostolo [1Ts 4,17], elevato su una nube fino a Dio.
L'oro è un bene pesante, pesante è ogni genere di materia ricercata con cura per la ricchezza. Leggera ed elevante è invece la virtù. Certo sono opposte una all'altra la pesantezza e la leggerezza. è dunque impossibile che diventi leggero colui che ha spinto se stesso nella pesantezza della materia. Se dunque è necessario salire alle cose di lassù, diventiamo poveri di ciò che trascina in basso, perché possiamo dimorare anche noi nelle regioni superiori. Quale sia il modo ce lo indica il salmo: "Egli ha dato con larghezza ai poveri, la sua giustizia rimane nei secoli dei secoli" [Sal 111,9]. Colui che spartisce i suoi beni con il povero, si stabilirà dalla parte di Colui che si fece povero per noi. Si fece povero il Signore: non aver paura neanche tu della povertà! Ma Colui che si fece povero per noi, regna su tutto il creato. Se dunque tu ti farai povero con chi si fece povero, regnerai anche tu con chi regna. "Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli"; voglia il cielo che anche noi siamo fatti degni di questo regno, in Cristo Gesù, nostro Signore, a cui è la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
(Dalle "Omelie sulle beatitudini". Orazione prima)

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