Cosa significa "voto" o "ex voto"?

Il bisogno di associare alla preghiera un dono tangibile

Da sempre la preghiera integra nella sua formulazione verbale un atto pratico, come a dargli consistenza.

 

Pensiamo ai bambini piccoli piccoli. Spesso in segno di saluto ti omaggiano con qualcosa di loro: un gioco, una caramella... E' il loro modo di pregare un adulto, un totalmente altro da loro.

Pensiamo a quando vogliamo ringraziare o dire qualcosa di bello ad una ragazza. Non gli associamo un mazzo di fiori?

 

E’ la cosiddetta offerta o voto. Quanti “ex voto” troviamo nei nostri santuari! E’ stato così da sempre. E' un omaggio per quello che Dio ha fatto o che farà. La preghiera con voto dice anche la promessa di fare certe cose se otterrà da Dio certe altre.

 

E' il Padre della Chiesa Origene che per primo fa la scoperta biblica del termine preghiera.

Nel suo trattato “Sulla Preghiera” viene stabilita proprio all’inizio del libro l’assonanza fondante preghiera/offerta. C'è una assonanza molto stretta nella traduzione in greco dei LXX:  euchè (dono) e proseuchè (preghiera)

 

“Non mi parve fuori luogo distinguere innanzitutto sulla base delle Scritture i due significati espressi dal termine euché. E lo stesso è anche di proseuché. Questo nome infatti oltre a trovarsi spesso con il comune, consueto significato di preghiera è usato anche nell’accezione di voto nel racconto di Anna".

 

Nel greco antico non esiste la parola proseukè (preghiera), ma semplicemente la parola eukè (voto). Come a dire che la preghiera si è spiritualizzata nel suo percorso storico passando da una offerta di doni ad una offerta di se stessi.

 
 

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